Parigi decide di dare un taglio all’estrazione di «shale gas», il gas da scisti. La decisione, in corso di ufficializzazione, chiude una vicenda in corso da mesi. La tecnica di estrazione – detta fracking – è infatti considerata pericolosa per l’ambiente e una legge del 13 luglio già vietava la tecnica del fracking, la fratturazione idraulica, usata appunto per l’estrazione. Il gas da scisti bituminosi detto anche non convenzionale, promette di essere la nuova frontiera energetica per i prossimi anni. Gli scisti sono sedimenti di colore nero ricchi di bitumi presenti normalmente nelle argille.
La presenza di metano in questi sedimenti era già nota da tempo. E nonostante la loro abbondanza sul pianeta, fino ad oggi, non era mai stato presa in considerazione l’idea di sfruttarli perché l’estrazione era troppo costosa. Ma 4 o 5 anni fa gli americani sono riusciti a mettere a punto due tecniche che la hanno resa concorrenziale all’estrazione del metano convenzionale. Anche se rimangono forti dubbi per l’impatto ambientale: il gas non esce come nei giacimenti tradizionali perché è intrappolato nel bitume e si estrae immettendo acqua sotto altissima pressione mescolata ad acidi. L’elevata pressione frantuma gli scisti e libera il gas. Il sistema va però usato con estrema cautela perché può con facilità inquinare le falde acquifere. Secondo quanto rivela Le Figaro, la Francia ha dunque deciso di revocare i permessi d’esplorazione assegnati all’americana Schuepbach e alla francese Total.
Nel suo rapporto sull’estrazione, Schuepbach aveva sottolineato che non poteva rinunciare al fracking, non essendoci metodi alternativi, il contenuto del rapporto Total invece non è neppure noto, ma evidentemente entrambi non hanno soddisfatto le richieste del Ministero competente. Per lo sfruttamento dello shale gas una pesante battuta d’arresto, ultimo capitolo di un dibattito molto acceso attorno a questa fonte i cui impatti ambientali secondo molti sono troppo alti. Prima dell’ultima decisione francese, una bocciatura dello shale gas era arrivata a luglio da un rapporto commissionato dalla Commissione Ambiente del Parlamento europeo.
Nonostante il bisogno crescente di gas e il declino delle riserve convenzionali, spiega il report, le risorse di gas non convenzionale sono troppo piccole per avere qualsivoglia impatto sostanziale e le conseguenze negative troppo alte. Innanzitutto, la contaminazione della falde acquifere: i fluidi usati per il fracking contengono spesso sostanze pericolose e attualmente gli operatori non sono obbligati a dichiarane la composizione; spesso queste filtrano nel terreno, portando con sé anche metalli pesanti e materiali radioattivi.
Inoltre, c’è il problema delle emissioni climalteranti: il metano, le cui fughe durante il fracking sono frequenti, hanno un potere climalterante molto superiore a quello della CO2, anche se ha un tempo di permanenza in atmosfera minore (un decimo circa): impatta sul clima 33 volte di più considerando un periodo di 100 anni, e fino a 105 volte calcolando gli effetti su un periodo di 20 anni. Ma soprattutto, c’è il grosso pericolo sismico: il fracking idraulico può causare piccoli terremoti di magnitudine 1-3 della scala Richter. In Europa, tuttavia, vige ancora un inspiegabile vuoto legislativo su questo delicato tema. La Francia, intanto, ha preso posizione con fermezza: fino a nuove disposizioni, niente shale gas.