Non c’è pace per Nonciclopedia. L’enciclopedia demenziale del web colleziona più anatemi di un libro all’indice durante la Santa Inquisizione. Prima Vasco Rossi, che l’aveva querelata per la volgarità della voce che lo riguardava, salvo poi abbozzare e incassare il colpo dopo la bagarre mediatica scatenatasi nella rete quando l’enciclopedia dell’assurdo aveva chiuso i battenti per protesta. Poi è stata la volta di Wu Ming, il collettivo anonimo di scrittori bolognesi “senza nome”, che, tanto per non copiare pedissequamente il rocker corregionale, ha alzato il tiro in un post al vetriolo dedicato proprio a Nonciclopedia. La quale, sostengono gli scrittori, non sarebbe solo volgare, ma addirittura fascista ed antisemita.
A sostegno della prima tesi, il collettivo cita una similitudine dello scrittore Girolamo Di Michele, quantomeno azzardata: «Il fascismo – spiega infatti Di Michele – non era solo gagliardetti, camicie nere e adunate: quello era il folklore, come diceva Pasolini. Credo che chiunque stia mettendo in discussione il retroterra fascista di certe pagine di Nonciclopedia (…) dovrebbe armarsi di pazienza, fare un salto in biblioteca o emeroteca, e sfogliare un paio di annate (…) della stampa fascista o filofascista (…), per vedere come veniva costruita l’immagine dell’antifascista da additare alle squadracce».
Insomma, almeno a sentir lui, sembrerebbe che qualunque forma di irrisione che travalichi il perbenismo di maniera sarebbe chiaro indice di mentalità fascista. Con buona pace delle vignette di Vauro o del livornese Vernacoliere: di certo il “politically correct” è l’ultima preoccupazione. Viene poi da domandarsi se la similitudine valga quindi anche per loro.
Per sostenere l’antisemitismo di Nonciclopedia, invece, Wu Ming cita il caso eclatante della voce dedicata ad Anna Frank. Non certo un esempio di stile, per carità, con parecchi scivoloni nell’evitabile, e, a dirla tutta, nemmeno poi tanto divertente. L’algoritmo dell’antisemitismo disegnato dagli indignati scrittori anonimi di Bologna sulla spalle di Nonciclopedia, però, non regge. Basterebbe fare le pulci a qualsiasi voce che affronti un argomento delicato (e sono la maggioranza, trattandosi di un sito di satira), per poter accusare i demenziali autori di qualunque cosa.
Dal satanismo alla pedofilia, dall’istigazione al suicidio all’apologia di qualsiasi reato o infrazione ipotizzabile, fosse anche il divieto di sosta. E non sono pochi, in passato, quelli che hanno provato a cucire sul petto di Nonciclopedia la lettera scarlatta dell’infamia, qualunque essa fosse. Senza ottenere però altro risultato che quello di diventare su Internet lo zimbello del momento.
Ma, tant’è. Qualche battuta di bassa lega, peraltro ampiamente stigmatizzata dagli stessi autori nonciclopedisti, se è sufficiente per sporgere querela basta e avanza anche ai Wu Ming per scatenare in rete una nuova caccia alle streghe mediatica. In fondo è facile screditare chi ha nel Dna la rinuncia a qualsiasi forma di credibilità.«Facile come sparare ai pesci in un barile», come direbbe Tex Willer. Decisamente più difficile, invece, è argomentare seriamente la propria tesi davanti alla rete. Che per natura è disposta a tutto, anche a dare voce a chi meno se lo meriterebbe. Ma ad imbavagliare qualcuno, per qualsiasi ragione, questo mai.
E così sono gli stessi Wu Ming a finire nel tritacarne. Prima per mano (pardon, china) della rivista satirica “Mamma”, che a loro dedica un fondo dal titolo eloquente: «Una raffica di Wu Minchiate colpisce Nonciclopedia». Poi a stretto giro di posta dagli stessi Diderot e D’Alembert della satira, che al collettivo dedicano una voce dissacrante anche nella punteggiatura, rispondendo poi agli attacchi con un’intervista immaginaria proprio ad Anna Frank. Roba da recidivi. Ma ai Wu Ming non va meglio nemmeno nei commenti di tanti fan dell’enciclopedia satirica, che li accusano di avere quanto meno la puzza sotto il naso.
Viene da chiedersi, però, se questo continuo bersagliare Nonciclopedia di strali, che ad intervalli cadenzati si ripropone ormai da tempo, non sia, in realtà, un tentativo di guadagnare in visibilità. Una trovata pubblicitaria più eclatante ma anche più economica di altre. Su forum e blog il dibattito è apertissimo. Nel frattempo, chi è alla disperata ricerca del quarto d’ora di celebrità che Andy Warhol gli ha promesso, ora sa con chi deve prendersela per riuscire senza fatica nell’impresa.