Per la lobby dei banchieri la Grecia è “la nuova Argentina”

Per la lobby dei banchieri la Grecia è “la nuova Argentina”

Prima era il 21%, poi è diventato il 50%, infine «potrebbe essere oltre l’85%». Continua il balletto di cifre sull’haircut del debito greco, cioè il taglio al valore nominale dei bond detenuti in portafoglio dalle istituzioni finanziarie. Oggi il numero uno dell’Institute of international finance (Iif), Charles Dallara, ha spiegato che sono in corso le trattative per innalzare la svalutazione del debito ellenico. «È un progetto che stiamo valutando con 40-45 società», ha detto Dallara, non anticipando altro. Tutto si discuterà al G20 di Cannes, in programma fra due giorni.

365 miliardi di euro. Questo è l’ammontare del debito greco secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale (Fmi). E l’impatto della ristrutturazione proposta dall’Iif potrebbe incidere per circa 206 miliardi di euro, riportando lo stock sotto quota 100% in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil). Questo, insieme al programma di risanamento dei conti pubblici, potrebbe riuscire a far risollevare Atene dall’abisso in cui è piombata. Il piano organizzato dalla troika composta da Fmi, Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue prevede un supporto trentennale per riportare in sicurezza le finanze pubbliche elleniche, anche attraverso una pesante ristrutturazione del debito. Prendendo in esame un haircut del 50%, l’opzione uscita dall’ultimo Consiglio europeo del 26 ottobre, lo stock di debito pubblico rientrerà verso quota 120% rispetto al Pil nel 2020. Diverso, invece, l’effetto di un haircut del 60%, capace di riportare il coefficiente debito/Pil entro il 110% nel 2020. Anche assumendo quest’ultima possibilità, il debito greco sarebbe comunque insostenibile. Ecco quindi l’arrivo del nuovo tavolo di negoziazioni.

L’obiettivo è quello di minimizzare gli effetti del fallimento di Atene. Secondo l’Iif, che sta quindi proponendo ai suoi associati una svalutazione quasi completa dei titoli di Stato ellenici detenuti in portafoglio, un haircut superiore all’80% potrebbe permettere una riduzione del debito di circa 206 miliardi di euro. Il difficile è convincere tutti i creditori che questa sia la soluzione giusta. Dallara sembra esserci riuscito e ora la palla va ai governi, che dovranno mettere in atto una rete di sicurezza per gli istituti di credito europei più esposti sulla Grecia.

Secondo diverse fonti bancarie, il progetto dell’Iif è quello di presentare una bozza finale di accordo durante il G20 di Cannes, per poi negoziare in base alla reazione dei Governi. Particolarmente ostica sarà la posizione di Francia e Germania, i principali creditori di Atene, che hanno rifiutato di commentare, almeno per ora, le parole di Dallara. Continua quindi il braccio di ferro tra la lobby bancaria, pronta ad assumersi rischi elevati e avallando di fatto il fallimento ufficiale della Grecia, e gli Stati dell’eurozona, consapevoli che un default di Atene sarebbe percepito dai mercati finanziari come un fallimento dell’intero progetto dell’Unione europea. «È solo questione di tempo, la bancarotta della Grecia è un non-evento, dato che sono più gli operatori che si attendono una dichiarazione d’insolvenza entro il terzo trimestre 2012 che quelli che credono che Atene possa ancora salvarsi». Così, la banca americana J.P. Morgan in una nota riservata ai clienti ha commentato le ultime settimane della Grecia, ormai sempre più vicina al fallimento.

La bancarotta ellenica è ormai scontata, anche in caso di un haircut volontario, dato che è questo che lo schema che sta prendendo forma. L’agenzia di rating Fitch ha già comunicato che «un haircut del 50% è già considerato un fallimento». Inevitabile quindi che uno dell’85% o più sia giudicato nello stesso modo. Al G20 ci saranno tre fazioni principali. Da un lato, un Institute of international finance ormai consapevole che per Atene non si può più fare alcunché. Dall’altro, un’Europa senza una bussola che cerca di risolvere l’irrisolvibile. In mezzo, una Grecia che dovrà portare avanti un lungo programma di austerity. Sullo sfondo, Stati Uniti e Cina, sempre più preoccupati dell’immobilismo dei politici europei.  

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