«Ancora un paio di mesi, poi sarà tutto più chiaro». In un Transatlantico particolarmente affollato – deputati e senatori sono convocati ancora una volta in seduta comune per eleggere un giudice della Corte costituzionale – un parlamentare berlusconiano delinea la road map della legislatura. «Per sapere di che morte dovremo morire basterà aspettare la fine di novembre», ammette con rassegnazione nei pressi della buvette. «Allora, con ogni probabilità, a decidere la sorte del governo sarà l’esito del processo Mills». Nessun presagio. Basta scambiare qualche parola nei corridoi di Montecitorio per scoprire che il pensiero del deputato Pdl è condiviso da diversi colleghi.
Il fedelissimo del Cavaliere prosegue la sua confidenza: «I magistrati milanesi hanno accelerato, vogliono arrivare a sentenza il prima possibile». Negli ambienti vicini al presidente del Consiglio questa non è una novità. L’intenzione dei giudici della decima sezione penale del Tribunale di Milano sembra chiara. Due settimane fa sono stati “tagliati” una decina di testimoni. Cancellato anche l’esame di alcuni testi residenti in Gran Bretagna che avrebbero dovuto essere interrogati per rogatoria.
L’epilogo è vicino. A fine ottobre dovrebbe essere interrogato Silvio Berlusconi, imputato per corruzione in atti giudiziari. Poi la sentenza. Un’accelerazione che nel Pdl considerano una palese offensiva di quella che in molti non si imbarazzano a definire la «magistratura rossa». A difesa del proprio leader, la maggioranza ha provato a correre ai ripari. Oggi la commissione Giustizia del Senato si è riunita per esaminare il disegno di legge sul processo breve. Un provvedimento che – con le ultime modifiche approvate dalla Camera – permetterebbe di ridurre i tempi di prescrizione per gli incensurati. Abbastanza per chiudere anticipatamente il processo Mills (con l’attuale normativa la prescrizione è attesa per l’inizio del 2012).
I tempi sono stretti. Forse troppo. Il ddl approderà nell’Aula di Palazzo Madama entro la prossima settimana. Ma nella maggioranza sono convinti che la sentenza Mills possa arrivare prima dell’approvazione finale. «E poi – commenta un fedelissimo del Cavaliere – il capo dello Stato una legge così non ce la farebbe mai passare. Specie attraverso un voto di fiducia».
E così per il presidente del Consiglio diventa concreta la possibilità di una condanna in primo grado. Magari accompagnata da una interdizione dai pubblici uffici. «Una mazzata terribile – commenta il deputato in Transatlantico -. Per il Paese, ma soprattutto per la sua immagine».
Ecco la svolta. Davanti a una condanna del genere, l’Esecutivo riuscirebbe a rimanere in piedi? I pareri sono discordanti. Nel Pdl c’è chi è convinto che il premier sia pronto a prendere in contropiede i magistrati – e il presidente della Repubblica – aprendo una crisi di governo prima della sentenza. Ma è un’ipotesi che non raccoglie troppi consensi. «Il Cavaliere non ha alcuna voglia di andare a elezioni anticipate – racconta un suo deputato al telefono – E se avesse avuto qualche dubbio in merito gli è passato quando ieri Tremonti lo ha sfidato sostenendo che gli spread spagnoli vanno meglio dei nostri perché a Madrid si vota prima».
In caso di condanna le strade percorribili restano due. Il Quirinale forza la mano con il governo. Scenario difficile, ma non impossibile. Anche perché un presidente del Consiglio interdetto dai pubblici uffici sarebbe difficilmente difendibile. Oppure la maggioranza si sfalda da sola. «E se qualcuno stacca la spina – racconta un parlamentare di maggioranza – è chiaro che avverrà al Senato, dove ultimamente le voci di dissenso interno si sono fatte più forti». Il chiaro riferimento è alle cene frondiste che Beppe Pisanu organizza ormai da qualche tempo.
Il passaggio successivo resta un mistero per tutti. Un governo di transizione verrebbe affidato con ogni probabilità al presidente del Senato Renato Schifani. La seconda carica dello Stato, come previsto dalla Costituzione. Ma avanzare ipotesi diventa difficile. Appare chiaro, però, che la nascita di un simile Esecutivo potrebbe sancire il rientro in maggioranza dell’Udc (anche stamattina il leader dei centristi Pier Ferdinando Casini ha confermato: «Quando un Paese sta affondando la cosa peggiore è la paralisi. Se non ci sono altre possibilità si dà la parola al popolo, ma un nuovo governo, di responsabilità nazionale, sarebbe l’ipotesi migliore»). E il Pdl? «I rischi maggiori sono proprio per noi – racconta ancora un parlamentare di centrodestra – A quel punto nessuno potrebbe escludere un terremoto». Una diaspora post berlusconiana delle varie anime del partito.