La quieta e sonnacchiosa via Labicana trasformata in un sobborgo di Beirut. È questa una delle immagini più tristi di quella che doveva essere soltanto una manifestazione coloratissima e festosa, ancorché mossa dall’indignazione contro la crisi. Di Indignados, però, se ne sono sentiti pochi. Subito messi a tacere dalla violenza di chi non si cura di quale sia la manifestazione, purché si bruci e si distrugga.
A nulla sono valsi i tentativi dei manifestanti pacifici (molti giovani, molti lavoratori, ma anche pensionati e famiglie con bambini) di allontanare i facinorosi. Dopo le auto date alle fiamme in via Cavour un’ora dopo la partenza del corteo, gli “squadroni volanti” degli incappucciati, organizzatissimi, si sono ripetuti in via Labicana, poco prima delle 16. Sono loro i responsabili principali dei tafferugli. Comunicano tra loro con i cellulari. Sono armati di spranghe, bastoni e mazzuoli da carpentiere, e non hanno remore ad usarli. Sanno sempre come e dove colpire, poi fuggono. Tranne quando si sentono abbastanza forti da ingaggiare battaglia. Allora tirano su le barricate e affrontano la polizia faccia a faccia. ma sempre a volto coperto e col casco ben calato sugli occhi. Sembrano inarrestabili. Ribaltano cassonetti. Incendiano auto. Bersagliano gli agenti in tenuta anti sommossa con tutto ciò che hanno a tiro. E minacciano giornalisti e fotografi che “osano” immortalare le scene di ordinaria guerriglia urbana. «Che ca.. fotografi? Non fare il furbo». Questa è la loro declinazione di libertà e diritti. Ma va molto peggio ai colleghi di una troupe di Sky, che vengono aggrediti e malmenati.
In mezzo a quella bolgia c’era da perdere il conto anche delle vetrine di banche e gioiellerie ridotte in frantumi. I simboli del capitalismo affamatore del popolo. «Ma- si domanda un giovane manifestante romano- è un simbolo del capitalismo anche quella Lancia Y che hanno dato alle fiamme? È una macchina da povero Cristo che lavora in fabbrica. Questi sono vandali!». In via Labicana viene presa d’assalto anche la caserma dei carabinieri. La madonnina nell’edicola votiva all’angolo con via Merulana viene gettata a terra e spaccata a legnate. «Com’è che non piangi più, adesso?» domanda uno degli incappucciati.
«Siete peggio dei fascisti, andatevene!» grida la gente per bene, che non ci sta a farsi soffocare dalla violenza. Ma c’è poco da gridare. C’è solo da restare attoniti quando si assiste a scene come quella che si consuma ad esempio all’angolo tra piazza San Giovanni e via Emanuele Filiberto. «Non venì, è il delirio, se stanno a pestà come l’uva» ci dice al telefono un giovane cyberattivista Anonymous, che in piazza era andato soltanto per manifestare.
Andiamo lo stesso. È qui che i manifestanti facinorosi danno il peggio di sè e, per almeno mezz’ora buona, hanno la meglio sulle forze dell’ordine. Dietro ci sono i Cobas, che non possono far altro che invitare la gente alla calma. Rassicurano coloro che, alle loro spalle, non riescono a raggiungere la piazza, campo dello scontro. Ma davanti ci sono i giovani incappucciati. Alcuni di loro sono giovanissimi, probabilmente una buona parte di loro non è nemmeno maggiorenne. Hanno visi imberbi, e quelli a volto coperto si rivelano adolescenti dalla voce. Ma si incitano l’un l’altro a non interrompere la sassaiola contro gli agenti.
Caricano quando le camionette si ritirano, e ripiegano in disordine quando dalle fila delle forze dell’ordine partono i lunghi getti degli idranti. Per rimediare i proiettili da lanciare agli agenti svellono marciapiedi, devastano aiuole, raccattano sampietrini da terra e mattoni dai muri. Il più “scafato” di loro, un ragazzino che avrà si e no quattordici anni, mostra agli altri come fare: mettere in tasca i sampietrini così come sono e spaccare a terra le piastrelle della pavimentazione cosicché il bordo del proiettile di fortuna sia frastagliato e tagliente. E faccia più male. Documentiamo tutto, con video e fotografie. Poche centinaia di metri più in là un manifestante viene ferito dallo scoppio di un petardo. Ormai gli scoppi delle bombe carta scandiscono il tempo più degli slogan.
Poi la manovra a tenaglia di Polizia e Guardia di Finanza. I manifestanti ripiegano sul sagrato di San Giovanni. Il prato dove si svolgono i concerti del 1 maggio si copre di nebbia. Sembra di essere in piazza Duomo a gennaio. Ma è ottobre. Un caldo ottobre. E siamo a Roma. Non è nebbia, sono lacrimogeni.