Teoria e tecnica del succhiaruote, figura del ciclismo (e non)

Teoria e tecnica del succhiaruote, figura del ciclismo (e non)

Un sinonimo di parassita? «Succhiaruote». Essere un parassita o un succhiaruote è in pratica la stessa cosa: e non è propriamente un complimento. Il parassitismo è una forma di simbiosi, ma a differenza della simbiosi, il parassita trae un vantaggio (nutrimento o protezione) a spese dell’ospite creandogli un danno biologico.

Il «succhiaruote» è un termine espressamente sportivo, mutuato dal ciclismo, che di «succhiaruote», opportunisti, speculatori è pieno. Si annidano ovunque, anche dove meno te lo aspetti. Dal Tour de France a sotto casa nostra. Esci inforcando serenamente la tua bicicletta e quando meno te lo aspetti ecco che alle tue spalle prende forma l’ombra sinistra del succhiaruote. Non parla, non saluta: si accoda. Sfrutta la tua conoscenza (le strade). Si mette al riparo dal vento (effetto CX, legge sull’aerodinamica) e dai pericoli: molto meglio stare dietro, che davanti. Non per niente da sempre si dice: vai avanti tu che a me viene da ridere. Scaltri e traditori: quindi succhiaruote. L’esatto contrario di generosi.

Nel ciclismo il «succhiaruote» è quello che si aggancia alla ruota del corridore in fuga e lo segue come un ombra senza dargli un solo cambio (leggi aiuto, supporto, lavoro equamente diviso). È quello che alle numerose richieste di collaborazione per cercare di ottenere un po’ di aiuto anche dal socio di fuga, risponde con smorfie, come a dire: «scusa mi spiace perdonami ma non ce la faccio, sto veramente male, a malapena riesco a seguirti, “a starti a ruota”», appunto. Quindi, quello che ama stare a ruota è un pericolosissimo e infame succhiaruote. Questa figura è pericolosissima: simula stanchezza, inferiorità, incapacità a mantenere lo stesso ritmo e passo del socio d’avventura, ma è anche quello che giunti poi nella prossimità del traguardo, con un gesto incurante rifila la spallata a chi lo ha condotto sino a lì e va a cogliere l’immeritato successo.

Tanti sono i succhiaruote. Tra i politici e i dirigenti, tra i manager e i giornalisti, tra noi e il nostro vicino di casa. Il mondo è pieno di succhiaruote. Quanti sono politici che non parlano, non prendono posizione, sussurrano cose incomprensibili per poi accodarsi al pensiero forte del momento e cavalcarlo come se fosse loro facendolo proprio? I succhiaruote sono la sublimazione dell’omologazione e del pensiero unico. Tutti dietro, con arroganza, opportunismo e quella punta di cinismo che non guasta.

Nel ciclismo i succhiaruote hanno un compito, e anche dei nomi e dei cognomi. Come quello di Learco Guerra, il primo ciclista a vestire la prima maglia rosa della storia (in questo caso è nato prima il Giro e poi la maglia rosa) da tutti ricordato come «la locomotiva umana», utilizzato lucidamente dal primo campionissimo del ciclismo Costante Girardengo – il suo tecnico -, con il compito ben preciso di anti-Binda. Guerra aveva una missione: fare impazzire il «trombettiere di Cittiglio». Posizionarsi alla sua ruota e non dargli un solo cambio. Sfruttare in tutto e per tutto il suo lavoro: dove va Binda va Guerra, senza fare una piega. Learco Guerra fu uno dei più grandi succhiaruote della storia del ciclismo. Contro quel prodigio di forza e classe che è stato appunto Alfredo Binda, l’unico corridore ad essere pagato dagli organizzatori per non prendere parte al un Giro d’Italia (gli fu concesso il premio del vincitore purché lui non prendesse il via per manifesta superiorità), ogni mezzo era lecito. Per cercare di fermare e fiaccare le velleità di Binda l’opposizione passiva di Learco Guerra era uno strumento più che efficace. Poco spettacolare. Tutt’altro che spettacolare, ma molto redditizio.

È del 1963 il mondiale dei veleni. Si corre a Renaix, nel cuore delle Fiandre. Rik Van Looy, il favorito numero uno al successo finale, ha la possibilità di conquistare il terzo mondiale consecutivo, quando il suo compagno di squadra Benoni Beheyt gli soffia la vittoria a conclusione di una volata scorrettissima, iniziata con una trattenuta del carneade belga e culminata dopo l’arrivo con pugni e insulti. Anche in questa occasione il copione è il solito: sto a ruota, non tiro perché non ce la faccio più. A me basta arrivare secondo. La volata è un condensato di scorrettezze e tradimenti. Van Looy perde il mondiale. Beheyt non vincerà mai più una corsa nella sua vita.

Anche il mondiale del Nurburgrig nel 1978 fu vinto da un succhiaruote. A farne le spese, anche in questo caso, il grande favorito della vigilia: Francesco Moser, campione del mondo in carica. Nel finale si trovano in due: il nostro campione e l’olandese occhialuto Gerry Knetemann. L’olandese sulla carta è battuto in volata. C’è poca storia: su dieci volate il trentino avrebbe potuto vincerne perlomeno nove. L’olandese parlotta nel finale di corsa con il campione di Palù di Giovo. «Vai tranquillo, a me basta il secondo posto…», gli assicura il corridore “orange”. Moser si fida. Tira come un dannato e al momento della volata parte tranquillo e sicuro che il suo compagno di avventura non avrebbe minimamente reagito. Knetemann, che negli ultimi chilometri si era preoccupato solo di osservare il fondoschiena di Moser, resiste come pochi allo sprint dell’azzurro e per pochi centimetri lo batte al fotofinish. Irripetibili sono le dichiarazioni nel dopocorsa di Moser, che ancora oggi, quando gli si rammenta quella maledetta volata, smoccola come pochi.

Tanti i succhiaruote, i parassiti, gli opportunisti, gli infingardi capaci di sfruttare fino all’ultimo il lavoro degli altri. Molti sono i corridori che vanno in giro con la pompa a portata di mano. Credetemi, non serve loro solo per gonfiare il copertoncino in caso di foratura.

* direttore di TuttoBici