Asse Locride-Brianza: ‘ndrine e segreti sulla sanità

Asse Locride-Brianza: ‘ndrine e segreti sulla sanità

Una relazione secretata, un suicidio diventato omicidio, appalti e intrecci societari. Nei meandri della sanità lombarda si muovono spettri e trame torbide. Intrecci tessuti tra Milano e Pavia e altri che si snodano lungo l’asse Locride-Brianza. Lo scorso luglio, durante la quarta udienza del processo Infinito (il maxi processo alla ‘ndrangheta padana scaturito dagli oltre 300 arresti del luglio 2010) che si sta svolgendo a Milano, in cui sono imputate 38 persone, tra le quali Carlo Chiriaco, l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, è emerso un dettaglio che ha fatto molto discutere e continua a creare non pochi dubbi di legittimità. Sulla relazione che riguarda l’Asl di Pavia, redatta dalla commissione prefettizia, insediatasi dopo l’arresto del direttore sanitario, è stato apposto il segreto di Stato.

Una relazione corposa frutto dell’ascolto di 6mila persone, tra dipendenti e destinatari di appalti, e dell’esame di centinaia di documenti. «È gravissimo che lo Stato italiano da un lato accusi Chiriaco e dall’altro nasconde le prove che possono servire alla sua innocenza», contestò l’avvocato Oliviero Mazza, legale di Chiriaco, durante quell’udienza. L’indagine dei commissari è durata sei mesi, e a dire dell’ex Prefetto di Pavia Ferdinando Buffoni, in carica fino allo scorso giugno, «le conclusioni dell’indagine sono rassicuranti». E inoltre, «possono farci sentire orgogliosi del nostro sistema sanitario». Ma allora perché secretare la relazione e il parere del ministero dell’Interno? La prefettura ha risposto così alla richiesta dei legali di Chiriaco: «Al documento è stata attribuita una classifica di segretezza ai sensi della legge 124/2007 (che regola il segreto di Stato)». Ci sarebbero, inoltre, motivi, non meglio precisati, «di ordine e sicurezza pubblica e riservatezza di terzi» che ne ostacolano la divulgazione.

Il difensore di Chiriaco contesta proprio il richiamo alla normativa che regola il segreto di Stato. «Quella norma- spiega a Linkiesta – vieta l’applicazione del segreto su documenti che riguardano reati di 416 bis, la decisione del Prefetto e del Ministro è illegittima». È un caso unico. «Non si è mai verificato -continua Mazza- per i casi di Comuni sciolti per mafia». Che in Italia sono un numero esagerato, circa 200, a cui si aggiungo tre Asl sciolte per infiltrazioni mafiose. Secondo Mazza, la relazione non rivelerebbe nulla di torbido, scagionerebbe l’ex direttore dell’Asl perché smentirebbe l’ipotesi dei pm. Il Tribunale ha chiesto al ministro dell’Interno di fornire la relazione e il Viminale, dopo 3 mesi, l’ha inviata revocando il segreto stato. Ma obbligando le parti a non rivelare il contenuto della relazione. Insomma un atto processuale che viene nascosto all’opinione pubblica. L’ex direttore dell’Asl di Pavia era stato iscritto nel registro degli indagati per un fatto specifico: il ricovero del latitante Francesco Pelle, detto “Ciccio Pakistan”.

L’accusa è favoreggiamento, dunque. «Per quella notizia di reato c’è una richiesta di archiviazione», fa notare l’avvocato Mazza. Non ci sarebbero indizi certi che Chiriaco abbia favorito la latitanza e il ricovero di Pelle. «Lo ha dichiarato anche Farres, comandante dei Carabinieri, davanti ai giudici del Tribunale di Pavia (dove si è svolto il processo per corruzione elettorale dal quale, il 12 ottobre scorso, sono stati assolti Chiriaco e l’ex assessore pavese al Commercio Pietro Trivi), sostenendo che l’ipotesi investigativa è stata smentita» E quindi chi favorì la latitanza del paziente paralizzato Pelle? «Perché sospettare subito Chiriaco, e non partire da chi ha firmato il ricovero?», si chiede il legale di Chiriaco. Ma non è da escludersi che la risposta si trovi nella relazione secretata. «Sappiamo che la vicenda è stata trattata dai commissari», è lapidario Mazza.

Francesco Pelle è un boss di spessore della ‘ndrangheta. È stato condannato in primo grado all’ergastolo per la faida di San Luca, il cui ultimo atto fu la strage di Duisburg del 15 agosto 2007. “Pakistan” è ritenuto un elemento di spicco della cosca di ‘ndrangheta Pelle-Vottari e uno dei sostenitori più accaniti della faida. Su di lui si accaniscono i killer della cosca nemica il 31 luglio 2006. Un agguato mafioso che l’ha paralizzato a vita. E nonostante si trovasse su una sedie a rotelle, fece perdere le proprie tracce. Divenne un fantasma. Fino al 2008, quando gli uomini dei Carabinieri del Ros l’arrestarono nella clinica Maugeri di Pavia (sotto la giurisdizione dell’Asl di Pavia dove Chiriaco era dirigente), nella sua camera singola del reparto di neuroriabilitazione mentre chattava su Skype e consultava alcuni siti su microspie e intercettazioni. Pelle per i medici e i pazienti della clinica pavese era Pasqualino Oppedisano. Un nome fasullo per camuffarsi nella struttura sanitaria lombarda. Pasqualino sarebbe entrato nella clinica grazie a una lettera di presentazione firmata da un professore milanese che certificava quell’identità rubata ad un calabrese vittima di un incidente stradale e come lui bloccato a vita sulla sedie a rotelle. Chi era quel professore? Anche questa domanda, per il momento, non trova risposte. Certo è che nessuno si è accorto che il finto Pasqualino aveva dei frammenti di proiettili nella gamba. Oppure qualcuno ha fatto finta di niente.

«Mi ha detto coso che ho il telefono sotto controllo, che avevo il telefono sotto controllo tre mesi fa. Perchè questo me lo dice a me perchè venivo sospettato di essere in Questura quello che fa ricoverare i mafiosi», queste le parole pronunciate da Chiriaco e intercettate dagli investigatori agli albori dell’indagine Infinito. E di seguito il commento del gip che ha firmato l’ordinanza di arresto: «Nell’occasione Chiriaco si riferisce all’arresto del latitante Francesco Pelle avvenuto mentre era ricoverato sotto falso nome (da chi?) presso la Clinica Maugeri». Da chi, appunto. Se lo chiedeva anche il gip. “Pakistan” fa parte di un cartello di ‘ndrine, quelle dei Pelle, dei Vottari e dei Romeo, detti “Stacchi” in onore al vecchio padrino Sebastiano Romeo detto, appunto, “U Staccu”. Tutte famiglie di San Luca che hanno allargato i loro orizzonti economici prima nella vicina Locride, poi in Lombardia e in Europa. Proprio la cosca Romeo ha forti interessi nella sanità privata.

Nella relazione che ha portato allo scioglimento dell’Asl di Locri nel 2006 si indica la clinica Cooley di Filippo Romeo (appartenente alla omonima cosca) con sede a Bovalino (Reggio Calabria) come una di quelle strutture accreditate gestite dalla ‘ndrangheta. Tra i soci di quella clinica un luminare della chirurgia cardiovascolare proveniente dal Policlinico di Monza Spa. Si tratta del professore Salvatore Spagnolo (mai sfiorato da alcuna indagine è bene precisarlo), socio negli anni ’90 della clinica dei Romeo. Successivamente, quando Filippo Romeo è uscito dalla compagine societaria in seguito alla prima condanna, è rimasto socio della clinica che negli anni ha mutato intestazione, passando da Cooley di Filippo Romeo, a Cooley di Antonio Sciarrone, fino ad arrivare, nel 2007, a Cooley di Salvatore Spagnolo. E così liberi da quel cognome ingombrante, la Cooley, l’anno successivo allo scioglimento dell’Asl, ha riconquistato l’accreditamento. Nel ’99 le quote di Romeo nella Cooley vennero anche sequestrate, poi dissequestrate nel 2001. Dal 2009 tra i soci della Clinica di Bovalino (che fu di Romeo) compare il Policlinico di Monza Spa, che ha aperto una sede distaccata proprio a Bovalino (accreditata presso l’Asl di Locri) e dove una volta al mese opera il luminare conosciuto in tutto il mondo.

Rispetto agli anni ’90 all’interno della Cooley è stata fatta piazza pulita dei personaggi che venivano elencati nella relazione dell’Asl di Locri, ma è rimasta identica la sede, che si trova nel complesso residenziale dei Romeo. Un palazzotto di cemento armato, di quattro piani, suddivisi tra fratelli e sorelle. Oggi gravato da alcuni provvedimenti di confisca. Mentre la sede distaccata a Bovalino del Policlinico di Monza è in viale Calabria, a due passi dalla sede legale della Cooley. Che gli ‘ndranghetisti conoscano diversi medici della sanità lombarda lo si intuisce pure da un passaggio dell’ordinanza di custodia dell’operazione “Infinito”. Si parla di un medico che Antonio Chiarella, “capo società della Locale di Milano”, presentò ad Antonino Lamarmore, già “Mastro generale” de “La Lombardia”, la struttura verticistica e di coordinamento delle varie cosche. E spunta un cognome, “Spagnolo”. Descritto come medico dell’Ospedale di Monza.

Linkiesta ha verificato se presso l’Ospedale San Gerardo si Monza lavora un dottore Spagnolo. Ci hanno risposto di no, «che sicuramente il medico che cercate è il cardiologo del Policlinico di Monza Spa». Nell’ordinanza si accenna anche ad una cena organizzata dai boss con alcuni medici. Da quelle carte emerge anche la vicinanza tra Chiarella e i Romeo “Staccu”, «Allora ero io responsabile, quando è successo che è morto la buonanima di Romeo, ve lo ricordate?» è Chiarella racconta ad un sodale dei tempi passati. Aiuti, favori, sostegno nei momenti di difficoltà, cosa chiedono i boss ai professionisti della sanità? Dietro i rapporti di amicizia possono celarsi relazioni pericolose, che si fanno trame affaristiche. Forse a questo pensava Pasquale Libri, il dirigente del settore appalti del San Paolo di Milano. Deceduto dopo un volo di otto piani dalla tromba delle scale della struttura dove lavorava. Erano giorno convulsi, quelli dopo l’operazione Crimine. Il suo nome era finito sui giornali, accostato a quello di Chiriaco. Ed era emerso quel legame parentale, spiattellato sulle prime pagine dei giornali locali. Lo zio della moglie di Libri è Rocco Musolino, il “Re della montagna”, un padrino che ha fatto la storia della ‘ndrangheta vecchia e nuova. Subito si pensò a un suicidio, nessuno aveva visto niente, in molti sostennero che Libri non resse lo stress della vergogna.

Ma il quadro indiziario del suicidio iniziò a traballare. Mancava un biglietto di addio alla moglie, e due testimoni, improvvisamente, ricordarono: «L’abbiamo visto poco prima che morisse in compagnia di due soggetti sconosciuti». E poi la dinamica “strana” per un suicidio: perché lanciarsi dalla stretta tromba delle scale, rischiando di sbattere tra le ringhiere di ferro, e non dalla finestra le cui imposte erano aperte. Tanti dubbi che avrebbero portato la Dda di Milano a secretare i risultati dell’autopsia sul corpo di Libri, a mantenere il massimo riserbo sul caso che da suicidio sarebbe diventato un caso di omicidio. «Voglio giustizia», continua a ripetere Sonia Suraci, la moglie di Libri, tirata in ballo dal marito e Chiriaco in alcune intercettazione come destinataria di una raccomandazione, «Non ho vinto mai un concorso», si giustificò la donna davanti ai cronisti. Insomma, di sicuro, nel caso Libri, “c’è solo che è morto”. Scavano nel passato di Libri, gli investigatori. Tra i suoi affari e legami con un certo mondo, a metà tra ‘ndrine e sanità.

Nel suo ufficio sono stati trovati gli articoli di giornale sugli arresti del 13 luglio e i documenti dei principali appalti del San Paolo, tra i quali molte pratiche trattate dallo stesso Libri: «La procedura d’affidamento del servizio Pet-Ct di Medicina nucleare», l’appalto per la «manutenzione del verde», la «gara per la ristorazione», «l’adeguamento della mensa». E tracce del passato di Libri sono presenti anche nella Dental Building, una società mista (di proprietà per il 60% dell’ospedale San Paolo), fallita nel 2005, dove hanno lavorato fianco a fianco Chiriaco, Libri e Giuseppe Catarisano, direttore generale dell’ospedale milanese fino a gennaio 2011. Dall’arresto di Chiriaco alla morte di Libri, passando per le relazioni societarie che si snodano lungo l’asse Calabria-Lombardia, le ombre e i sospetti si moltiplicano con la decisione di secretare la relazione sull’Asl di Pavia. E renderla pubblica, come vorrebbe la difesa di Chiriaco, potrebbe diradare i sospetti attorno alla sanità lombarda. Intanto il maxi processo alle ‘ndrine e ai complici proseguirà, con o senza relazione.

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