In piazza Maggiore, a Bologna, ci sono gli «sgabellini». Da qualche anno a questa parte trasformano lo spazio davanti al Comune – ogni giorno e per più ore – in uno speaker’s corner emiliano, dove chi passa può dire la sua su vari temi, politico-economici. Il nome viene loro dallo sgabellino di plastica bianca (proprio uno di quelli che non mancano in tanti bagni e cucinotti italiani), fatto girare con non poca teatralità dall’organizzatore. Lì sopra deve issarsi l’oratore improvvisato. Il tutto è ispirato alla «democrazia diretta», al «popolo sovrano», all’«assemblearismo popolare» e a simili principi messi nero su bianco, a pennarello, su fogli lasciati a terra, insieme a qualche ciclostile un po’ old style che pubblicizza però una contemporaneissima pagina facebook.
Dentro al palazzo del Comune lì di fronte, come consigliere eletto del Movimento 5 Stelle (una fra tre; gli altri sono il candidato sindaco Massimo Bugani e Marco Piazza), siede Federica Salsi, classe 1972. «Cosa ne penso degli sgabellini? Sono lì da anni e sono personaggi un po’ pittoreschi. A volte siamo andati anche noi a parlare. Sì, è un bel metodo di confronto, permette alle persone di esprimersi con grande libertà. Mi chiedo però che utilità abbia. Una volta che ci si è parlati, che ci si è sfogati… bisogna fare qualcosa. Entrare nelle istituzioni è il modo per cambiare le cose». Benvenuti nell’entrismo grillino che – declinato nel linguaggio virologico-infermieristico caro a Beppe Grillo – risuonerà come un’eco in molte bocche degli aderenti al Movimento: «Noi siamo il virus inoculato nell’organismo della politica per farlo decomporre definitivamente».
«Prima di entrare nel Palazzo non mi sarei mai immaginata che le cose fossero messe così male. È disarmante», dice la Salsi. «I tempi della politica sono giurassici, troppo diversi da quelli della vita. E poi qua dentro ci sono consiglieri che non parlano mai e altri che sono una profusione di parole. Non c’è altra alternativa: o il mutismo o la prolissità. Noi ci situiamo nel mezzo: nell’area della concretezza».
A Bologna il Movimento 5 Stelle ha lottato, già ai tempi dell’elezione di Giovanni Favia, nel 2009, per far andare in streaming su internet tutti i consigli comunali. Una battaglia dai toni aspri e portata avanti con successo; un motivo di vanto su cui molti avversari politici ironizzano, visto che una radio locale, Radio Città Fujiko, li trasmetteva in diretta da oltre vent’anni. Comunque, i tre consiglieri grillini puntano molto sulla parola «trasparenza» e Federica Salsi ha scritto una lettera aperta di fuoco al sindaco Virginio Merola (Pd), chiamandolo a rispondere sui temi più sentiti (il fallimentare mezzo di trasporto pubblico Civis, il contestatissimo People Mover e i concorsi poco trasparenti): «Da sempre sentiamo dipendenti di enti pubblici avviliti perché ritengono che i concorsi mandino avanti i soliti predestinati, da sempre sentiamo dipendenti di enti pubblici avviliti perché ritengono che vengano fatti concorsi studiati apposta per non far vincere nessuno e per affidare consulenze esterne ai soliti predestinati. Ma queste cose si possono dire solo a bassa voce, e appena qualcuno osa alzarla per fare uscire queste lamentele dai corridoi, è lesa maestà. Partono le minacce di querela a chi denuncia, parte la delegittimazione dei consiglieri perché rei di aver portato in Consiglio una questione spinosa…».
A far decidere la Salsi a scendere in campo sono stati, oltre al desiderio di trasparenza, «la tecnologia e i figli» (ne ha tre). «La connessione a internet», spiega, «mi ha permesso di accedere a nuove fonti di informazione (tra cui il blog di Beppe). Ora potevo approfondire tematiche di cui prima sapevo qualcosa solo di striscio o di cui non sentivo parlare affatto dall’informazione istituzionale dei tg e dei giornali di carta. Avere dei figli mi ha cambiato ogni prospettiva. La visione si sposta molto in avanti, quando ti nascono. Prima sei concentrato su te stesso e sull’oggi. Dopo, sul futuro e sul cercare di lasciare loro un mondo migliore».
Federica Salsi, consigliere comunale a Bologna, durante un comizio del Movimento 5 Stelle
«Ho iniziato a leggere il blog di Beppe nel 2006», racconta. Il mio avvicinamento ufficiale al Movimento è avvenuto nel 2008, quando è caduto Prodi e ho messo tutto in discussione. Non tanto perché fossi una prodiana doc, ma perché vedere un governo di centrosinistra che cade a quel modo dopo essere stato in piedi qualche mese con lo spago e con lo scotch mi ha fatto capire che bisognava mettersi in gioco, diventare protagonisti e non più spettatori; non bastava più la croce sulla scheda. Pensiero rafforzato quando è successa la cosa di Delbono, che noi chiamiamo Delbreve o Delbancomat (per approfondire il lessico grillino leggi qui, ndr). A quelle elezioni io mi ero candidata per la prima volta, e fui eletta consigliere nel quartiere Navile. Allora fummo eletti in 4 nei quartieri, oltre a Favia in Comune. Quest’anno, invece, siamo in 3 in Comune e sono in 16 nei quartieri, dove abbiamo sempre risultati un po’ più alti. Per il sindaco rimane la vecchia storia del voto utile, che noi chiamiamo “voto inutile”. A questo giro, ho preso 793 preferenze, pochissime meno dell’ex presidente della mia zona, Claudio Mazzanti, del Pd, che è in politica da trent’anni. Per loro dev’essere stato scioccante».
«Quando nel 2009 decisi di candidarmi, anche per mio papà fu uno choc. All’inizio credeva che fosse solo una goliardata. Sai, lui con la tessera del Pd sempre in tasca. Lui sempre fedele ad Andreotti, sempre a mettere la croce sullo scudo della Dc. Ora è un tipico cattocomunista del Pd».
In Consiglio la vita è impegnativa per la Salsi. Ma spesso, in questa vita di opposizione senza sé e senza ma, spunta un “alleato” sulla carta impensabile: «Siamo lontani dalla Lega. Eppure, qui a Bologna, in consiglio presentano alcuni odg molto interessanti che condividiamo e votiamo. Ad esempio sulla filiera corta nelle mense scolastiche e ospedaliere o sul riciclo del vetro usato e il vuoto a rendere. A volte sono molto verdi, non solo in senso padano. Anche la lotta contro il people mover la portiamo avanti insieme».
Il Movimento 5 Stelle sta avendo ottimi risultati in tutta la regione, anche in Romagna. Pietro Vandini, 32 anni, è stato eletto consigliere comunale a Ravenna nel maggio scorso…
Lui era candidato sindaco, ma in virtù del 9,84% (8.452 voti) sono entrati in Comune, in totale, tre grillini.
«Il nostro ruolo nelle istituzioni», spiega, «è mettere in difficoltà chi finora prendeva decisioni, così, con uno schiocco di dita. Ora come ora i consigli comunali non servono a discutere realmente: tutto funziona a pacchetti di voti già blindati. Noi cerchiamo di inserirci in questo ingranaggio che fa solo danni, per farlo saltare».
«Dobbiamo ancora studiare molto. Stiamo facendo scuola di formazione politica. Non ideologica, sia chiaro: solo pratica. Per capire come si fa un’interrogazione, per esempio. Io, quando sono stato eletto, non sapevo nemmeno che cosa fosse un’interrogazione».
«Al di là di chi entra nel Movimento, ci sono altre sfaccettature interessanti, nella società. Gruppi di persone che non ci vogliono ancora mettere la faccia, ma che ci sono vicini e ci aiutano. Anche professori, gente del mondo della cultura, avvocati… Ci arrivano interrogazioni da presentare in consiglio comunale scritte da avvocati che nemmeno conosciamo. Molto preparati tecnicamente, in materie che per noi sono ancora un po’ ostiche. Noi le controlliamo, le incrociamo col lavoro di altri avvocati, e poi in molti casi le presentiamo. E a Ravenna ci sono vicini anche molti importanti esponenti culturali della città. Sentono la necessità di svincolare la cultura dalla lobby politico-amministrativa».
Particolare del manifesto elettorale di Pietro Vandini, ora consigliere comunale a Ravenna
«Nei partiti classici le decisioni sono più facili da prendere», spiega Vandini. Ma anche meno durature. Da noi c’è un gran lavoro in assemblea, quindi più lentezza nell’assumere la decisione. Ma quando è presa, vuol dire che è largamente o all’unanimità condivisa, quindi è inscalfibile. Io, comunque, rimetto la carica ogni sei mesi. Altri, in altre città, la rimettono una volta all’anno. E l’assemblea degli attivisti giudica quello che abbiamo fatto, se siamo stati dei bravi portavoce del Movimento e dei cittadini nelle istituzioni e se siamo degni di andare avanti».
Sull’uso della parola «portavoce», che all’esterno appare molto spersonalizzante, la vede così: «Ci chiamiamo portavoce perché la espressioni “candidato” o “politico” hanno perso la loro neutralità e sono ormai connotate in senso negativo».
I grillini stanno cercando di organizzarsi, come spiega: «All’inizio le liste civiche erano tutte staccate tra di loro. Poi, con la trasformazione in movimento, qualcosa è cambiato. In Emilia Romagna ci incontriamo mensilmente a livello regionale e stabiliamo e confrontiamo le strategie, per muoverci in maniera compatta su molti temi. Sta diventando un nostro punto di forza. Il Pd – che è partito nazionale – nelle amministrazioni prende una decisione a Bologna e fa contrario a Ravenna; ha un alleato in un Comune, che in quello accanto è all’opposizione… Noi stiamo facendo un grande lavoro. Cerchiamo di presentare in varie realtà gli stessi ordini del giorno. Di creare una rete di azione. Con il Movimento 5 Stelle delle altre regioni abbiamo un coordinamento internet e una volta al mese stiamo istituzionalizzando un incontro degli eletti a Milano. Si parlava di fare incontri anche al Sud per aiutare un po’ la crescita. Laggiù è più dura per noi. Non c’è una connessione internet decente, paghiamo il digital divide. E i MeetUp presenti lamentano grosse difficoltà nel far parlare di sé sulla stampa locale».
«Non pensate al Movimento come a un’isola felice, non tutto è rose e fiori. Si discute duramente, e deve essere chiaro che l’«ognuno vale uno» di Grillo, non può voler dire che decidono tutti. Comunque, io mi sento il terminale di un network».
La sua attività in consiglio punta su temi consueti per il movimento (rifiuti, polo industriale, parchi naturali…), ma Vandini è anche appassionato di un cold case: «Lo scandalo dell’eredità del Conte Galletti Abbiosi. Era ricchissimo e quando morì, a fine Ottocento, lasciò tutto a favore delle orfanelle. I garanti erano la Curia, la Cassa di risparmio, il sindaco e il Primo Massaro della Casa Matha. Inutile dire che mai si è vista l’edificazione dell’orfanatrofio. È invece nato un albergo… Secondo noi c’è stata una spartizione dei beni tra gli allora notabili della città, per i consueti abusi di potere e la consueta illegalità e la scarsa trasparenza etica e morale».
Vandini ritiene che la gavetta che sta facendo nel palazzo della politica potrebbe essere preziosa per il salto in Parlamento: «Chi come noi sta maturando una esperienza nelle istituzioni locali è più pronto, rispetto a un completo sconosciuto. Non è facile raccapezzarsi in un consiglio comunale, figuriamoci a Roma… Certo, anche noi dovremo rafforzarci su alcune tematiche di cui non parliamo mai nel Movimento: politica estera, economia, immigrazione, istruzione… Si dirà: “Ma come, volete partecipare alle elezioni politiche e non avete ancora affrontato questi temi?” Sì, è così, non lo abbiamo fatto. Ma visto il livello di incompetenza dei politici attuali, non credo che partiamo troppo svantaggiati».
Su riorganizzazione interna e regole per le candidature la vede così: «Personalmente sono convinto che anche in vista delle future elezioni politiche non ci sia la necessità di un comitato direzionale. Se no, diventiamo un partito anche noi. Ma credo anche che non si possa aprire in modo completo a tutti, permettendo alla gente di continuare a candidarsi solo con una foto, un curriculum vitae e il controllo del rispetto dei tre punti etici del Non statuto. Tutti possono diventare attivisti, ma devono venire alle riunioni, dimostrare di volersi mettere in gioco, mostrare competenze. E a quel punto sperare di essere candidati. Quando si andrà alle politiche, io mi dimetto e partecipo, se la base lo vuole. Mi metto a disposizione. C’è una discussione su questo tema. Tra chi interpreta in modo troppo restrittivo le nostre regole e chi lo fa con più buon senso. Prendiamo per esempio Giovanni Favia. Formalmente ha fatto due mandati, e non potrebbe ricandidarsi. Ma in Comune è stato sei mesi! E in regione c’è da meno di due anni! Vale il numero delle due cariche, anche se interrotte, o valgono dieci anni in totale? Non facciamo i puntigliosi! Se la base decide che lo vuole, secondo me può partecipare».
Anche sui costi della politica dice la sua: «I politici locali hanno pochi soldi, troppo pochi. Per un disoccupato come me, è difficile campare solo col gettone di presenza…
La prima busta paga trimestrale è stata di 736 euro! Per fortuna che mi aiutano i miei genitori e anche gli amici mi danno una mano. Sono scelte. Noi dobbiamo essere professionisti della politica. Ma questa definizione va argomentata. Significa che dobbiamo fare politica con professionalità, con preparazione e competenza. I professionisti della politica di adesso la interpretano invece come un galleggiare tutta la vita nei palazzi. Per noi c’è una difficoltà anche psicologica, o esistenziale. Il sapere che, anche se si svolge benissimo il nostro compito, siamo comunque “a scadenza”, e dopo dieci anni si deve abbandonare il campo. Ma l’ambizione non può essere rimanere in politica a vita, deve essere rimettersi in gioco. Anche se non sarà facile rientrare nel mondo del lavoro. Ci creiamo molti nemici, e in una società che si basa unicamente sul criterio dell’amico degli amici per la selezione degli occupati, non sarò mai più una prima scelta per una eventuale assunzione. Ma è il senso di responsabilità nei confronti della nostra Nazione a chiamarmi; è la Nazione Italia».
Seguono: un caffè al bar sotto lo scalone del Comune di Ravenna, in piazza del Popolo. Una stretta di mano. E un saluto, piuttosto programmatico: «Grazie della visita, allora. Ci rivediamo per le politiche».
Federica Salsi è nata a Bologna il 25 settembre 1972. Impiegata in una azienda privata di cartellonistica esterna, è sposata dal 1996 e ha tre figli. È stata consigliere del Quartiere Navile nel 2009 e ora è consigliere comunale a Bologna. Di sé e di Grillo dice: «Beppe è una figura carismatica dal punto di vista mediatico, non decisionale. Non è il nostro Berlusconi, insomma. Fa le sue sparate. Noi non abbiamo leader, neanche a livello locale. Purtroppo però l’organizzazione interna dei giornali, da sempre abituati a una politica capigruppocentrica, fa sì che i cronisti chiamino sempre per le interviste la carica più alta a disposizione, finendo per dargli una maggiore esposizione mediatica».
Pietro Vandini è nato ad Argenta (Ferrara) il 5 gennaio del 1979. Disoccupato, è consigliere comunale a Ravenna. Di sé e di Grillo dice: «Ho una laurea, quasi due. Una in Tecniche di laboratorio biomedico, la seconda, in corso, in Biotecnologie industriali. Quello che in Italia mi indigna di più è la mancanza di meritocrazia. L’ho vissuto sulla mia pelle nell’ambito lavorativo. Tutto si decide per amicizie, parentele, scambi di favori. Mi sono avvicinato all’attività politica l’anno scorso, durante il Woostock del Movimento 5 Stelle (vedi video sotto, ndr). Prima seguivo il blog di Beppe. Sono entrato nel movimento 7/8 mesi prima dell’elezione. Conoscevo Giovanni Favia dai tempi di Bologna, dell’Università. Beppe è un genio. Per il Movimento è stato il detonatore. Una persona che tramite la genialità ha risvegliato le coscienze. La carta vincente è stato il suo linguaggio – la comicità – che da sempre è più comprensibile e avvicina le persone. Qualcuno, nel movimento, crede che lui non dovrebbe nemmeno dare input di indirizzo. Secondo me è giusto che lo faccia, perché in fin dei conti è il creatore. Ma lui è un amico, non il nostro direttore. Non si candida e non dà incarichi. È solo un catalizzatore di potenza e di attenzione mediatica. Qualcuno vorrebbe anche togliere il suo nome dal simbolo del partito. Ma per me non è un problema su cui mettersi a discutere».
Vai alle altre puntate del viaggio nel popolo di Beppe Grillo: