Neanche un decreto, l’Italia ora rischia davvero

Neanche un decreto, l’Italia ora rischia davvero

Niente da fare. Il governo non riesce ad approvare il decreto legge con le misure già promesse all’Europa. ”Anche perchè alcuni tra noi” racconta un Ministro di lunga fedeltà berlusconiana “sottolineavano che in Europa, dopo tutto, un emendamento o un decreto non sono poi oggetti tanto diversi”. All’insegna di una considerazione non proprio alta dell’istituzione europea, insomma, la “montagna” partorisce – testualmente – il topolino.

Perchè anche in Europa si sono senz’altro già accorti che una differenza c’è, tra ciò che subito avrebbe prodotto effetti (il decreto), e ciò che “entro il 15 novembre” – sottolinea con incomprensibile sollievo la berluscones version – deve tornare in Parlamento. In questo Parlamento: dove le lettere che annunciano il tradimento serpeggiano un giorno sì e uno no. E dove persino Casini, Per Berlusconi, rischia di essere sentita come una minaccia, nel corpo a corpo del consenso dei deputati:  “Contatta uno a uno i nostri parlamentari: ci sta dando fastidio”.

Al termine di una lunga giornata di incontri e dopo un Consiglio dei ministri particolarmente teso, l’Esecutivo ottiene solo l’approvazione di un maxiemendamento al disegno di legge di Stabilità. Silvio Berlusconi sperava di arrivare a Cannes con una legge in essere da presentare ai partner europei. Dovrà accontentarsi di un provvedimento che prima di acquistare efficacia dovrà superare il – tutt’altro che scontato – vaglio del Parlamento.

Il testo licenziato dal Cdm sarebbe peraltro ancora in via di definizione, perchè c’è tempo fino a venerdì per la presentazione in Senato. Ma è confermata la presenza di misure per il lavoro (non le norme sui licenziamenti facili), infrastrutture, dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico e semplificazioni burocratiche. Bocciate, per il momento, le ipotesi di condono o prelievo forzato sui conti correnti. Rimandati gli altri provvedimenti: saranno inseriti in un decreto e un disegno di legge di prossima approvazione.

Salta il decreto, dunque. Decisivi i dubbi del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma, soprattutto, l’opposizione del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. E proprio tra Berlusconi e il titolare del Tesoro va in scena per tutto il giorno un duro confronto. Le prime difficoltà già in mattinata, durante il lungo vertice – cinque ore di colloqui – a Palazzo Chigi.

Davanti a un ristretto numero di ministri, Tremonti avrebbe mostrato da subito le sue perplessità al progetto di un decreto. Un provvedimento che avrebbe rischiato di mettere in difficoltà il governo al momento del passaggio in Parlamento. Il premier non ci sta. Si lamenta. Arriva a criticare più volte, e con diversi esponenti del governo, l’atteggiamento di Tremonti. Colpevole di “voler mettere i bastoni tra le ruote” ai piani dell’Esecutivo. “Tremonti? Non è solidale, diciamo così”, recità l’ultima “fedeltà berlusconiana”.

Decisivo l’incontro al Quirinale tra lo stesso Tremonti e Napolitano. Nel tardo pomeriggio, nell’ambito di una serie di consultazioni informali, il capo dello Stato chiama il ministro dell’Economia. E’ durante il colloquio che Napolitano presenta i suoi dubbi sul decreto. Qualcuno racconta che davanti alla bozza del documento, il Quirinale sarebbe rimasto colpito dal gran numero di misure non inerenti alla manovra. Tremonti tace.

Nella maggioranza scoppia il caso. Nelle stesse ore in cui il titolare dell’Economia è al Quirinale, a Palazzo Grazioli è in corso l’ufficio di presidenza del Pdl. I presenti raccontano di un vero e proprio processo a Tremonti. Sul banco degli accusatori il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, accolto da un lungo applauso al momento del suo discorso contro il ministro.

Lo strappo si consuma in serata, durante il Consiglio dei ministri straordinario convocato a Palazzo Chigi. Quando di fronte alle resistenze di Tremonti – e per non deteriorare i rapporti con il Colle – il premier accetta il compromesso al ribasso. Non un decreto di urgenza. Ma un maxiemendamento da presentare al ddl Stabilità.

“L’approvazione definitiva arriverà entro il 15 novembre” spiega a Linkiesta un ministro. Che poi rivela: “L’importante era fare qualcosa. Sarebbe stato meglio un decreto, certo. Ma in Europa non tutti conoscono la differenza tra decreto e maxiemendamento”. C’è chi racconta di un duro confronto tra Tremonti e i ministri Brunetta e Sacconi. Ma la notizia è che per la prima volta anche la Lega prende le distanze dal titolare dell’Economia. Durante il vertice di governo i ministri del Carroccio si lamentano per la mancata intesa sul decreto. In particolare il ministro Calderoli – già protagonista di uno scontro con Tremonti nella riunione della mattina – avrebbe avuto un brusco confronto con il collega.

Adesso il premier dovrà convincere l’Europa, il G20, il mondo insomma. Ma al suo ritorno, dovrà trovare i voti del Parlamento per vedere approvate le misure proposte. Una eventualità non più scontata. Nel giorno più nero del governo, infatti, va in scena un nuovo caso all’interno della maggioranza. Per tutto il pomeriggio il gruppo dei malpancisti si incontra, discute, si organizza. Spunta di nuovo una lettera in cui una parte dei deputati Pdl chiederebbe al premier un passo indietro e l’allargamento della maggioranza all’Udc. I ribelli si sarebbero uniti attorno alle figure degli ultimi fuoriusciti dal partito: gli ex scajoliani Fabio Gava e Giustina Destro. Ma anche l’ex responsabile Luciano Sardelli e Roberto Antonione.

A Palazzo si diffondono le prime notizie sull’entità del gruppo. Sarebbero in dodici, pronti a staccare la spina al governo al prossimo passaggio parlamentare. Durante gli incontri con i suoi, per tutto il giorno il Cavaliere predica calma. E’ convinto di avere ancora i numeri per andare avanti. Dello stesso avviso il coordinatore Denis Verdini. “A sentire lui la situazione è ancora tranquilla” riferisce un ministro. Di certo nessuno si aspettava la defezione di Maurizio Paniz. Uno dei deputati-avvocati del premier. “Sempre equilibrato, pacato: è un segnale” perfino per i fedelissimi che ancora iniziano il racconto dicendo che “il clima è complessivamente buono”.

Paniz aveva sostenuto alla Camera il conflitto di attribuzione con la procura di Milano sul caso Ruby,: sostenendo la “buona fede” del Premier. mentre parlava della “nipote di Mubarak”. Invece oggi persino lui prende le distanze. In un’intervista al quotidiano online Il nordest, il deputato critica il Cavaliere: in perdita di consensi a causa della commistione tra le sue vicende pubbliche e private. 

Già. Forse anche la crisi economica e finanziaria, che rischia semplicemente di mangiarsi l’Italia, non aiuta. Chissà se dalle parti di Paniz – tutti presi dal proprio destino , e ormai dimentichi di Ruby  – se ne sono accorti.
 

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