Ho resistito a votare Berlusconi per tutti questi eterni diciassette anni, come so non hanno fatto certi miei amici cari (di sinistra). I quali, almeno una volta, ci sono cascati, alcuni vergognandosene un po’, altri con il passo pesante del rancore verso una proterva e conservativa sinistra, altri ancora con la leggerezza dell’incoscienza. Tenete conto che nel ’94 lo ha fatto anche il professor Mario Monti, e consapevolmente, non sotto minaccia di una pistola, ma non lo metterei tra le figure classiche di uomini di sinistra.
A precisa domanda su cosa sarei politicamente, rispondo che so perfettamente cosa NON sono: non sono di destra, di questa destra qua, ridicola, provinciale e volgarotta, che si fa il nodo grosso alle cravatte (troppe cravatte sbagliate, scriveva Paolo Conte), che ha una cultura da bar, che sente l’orgoglio repressivo di eludere i suoi doveri fiscali, che vive esclusivamente di quel patetico riflesso anti-comunista che la fa essere comunque subalterna a un’idea altrui, grande e tragica come può essere stato il comunismo.
Sapendo al microgrammo cosa NON sono, faccio una fatica del diavolo a dire cosa sono. Per questo, spessissimo, non ho votato sinistra perché non mi convinceva, forte dell’idea che se al mercato (elettorale) delle opzioni, il prodotto non ti piace, il dovere primo del cittadino è quello di sottrarsi alla competizione. Astenersi, dunque, o annullare la scheda per i più malfidenti. Del resto, nelle grandi democrazie pochi decidono per molti e i molti che non hanno partecipato non se ne lamentano affatto, sapendo che è esattamente il suo bello, dove chi vota determina i destini anche di chi non vota. Questo non è un elogio dell’astensione, ma proprio il suo contrario, è l’esaltazione massima della democrazia.
In tutti questi eterni diciassette anni, spesso molti conoscenti mi hanno accusato di fare così il gioco del nemico, dell’uomo nero, del bau-bau, del Caimano, del Sultano, insomma di quell’orrendo (secondo loro) individuo che si chiama Silvio Berlusconi. Mi dicevano che non sostenere la sinistra era un atto scellerato, ai limiti della denuncia penale, che un voto che mancava di qui era automaticamente un voto che andava dall’altra parte, arrivavano persino a concludere che non avrei potuto considerarmi un buon cittadino, se non fossi stato in grado di vantare una sana militanza contro il Cavaliere.
Anche in questo caso ho resistito ai loro sguardi torvi, fermo nel mio convincimento che a questa sinistra, alla sinistra che abbiamo avuto in questi anni, il voto obbligato di pura appartenenza ma di scarsa convinzione facesse solo male, e che anzi una sana lezione elettorale avrebbe potuto scatenare il vento di un vero cambiamento. Invece, purtroppo, anche nei momenti di difficoltà la sinistra ha sempre avuto i voti sufficienti per dire: io ci sono, e faccio come ho sempre fatto. Cioè, male.
Adesso c’è una grande occasione. C’è (forse) un anno e mezzo di tempo per crescere e per immaginare dove andare. È un’occasione storica per destra e sinistra. Se gestirà ancora Berlusconi, la destra la darei comunque per persa. Un uomo piuttosto anziano, a scarsa vocazione liberale, potrà magari anche rivincere, ma noi che vorremmo tanto una sfida liberal ad alto livello destra-sinistra saremo costretti a cambiare (idealmente) Paese. Vedersi intorno tipi come La Russa non è bello. La sfida, dunque, è tutta nelle mani della sinistra, al cui interno dovrebbero darsi battaglia due anime forti, come ha perfettamente raccontato Peppino Caldarola, un’anima che si identifica con la politica del professor Monti e che via via se ne appropria senza colpo ferire, e un’altra, invece, più a vocazione socialdemocratica che dunque lo affianca per il tempo del governo ma poi, in parte, si smarca. Quale visione è in grado di coniugare meglio mercato e solidarietà? Io lo so perfettamente, ma custodisco gelosamente questo pensiero in un luogo ben nascosto del mio cuore.
Qui, invece, vorrei rappresentarvi il destino amaro che attende gli italiani più edotti, sempre che uno dei contendenti (anche se non più candidato premier) sia ancora Berlusconi: il destino amaro di avere di fronte a sé «solo» l’opzione sinistra. Non contemplo, neppure per un istante, l’ipotesi leghista in quanto anche la più lontana parentela con forme anche disordinate di razzismo e di secessionismo porta a escludere ogni possibile collaborazione intellettuale. Né, tanto meno, si può pensare a riesumazioni postume di democristiani sparsi, ai quali evidentemente non basta l’essersi spolpati l’Italia per un buon mezzo secolo, no, questi signori dai capelli imbiancati vogliono ancora il piatto. Se lo avranno, almeno non ci avranno.
E allora cosa resta da votare, nel panorama italiano? La sinistra, sempre e solo la sinistra. E cosa resta, a noi virtualissimi elettori di sinistra? Ammazzarci, probabilmente. Perché il dramma è proprio in questo strettissimo collo di bottiglia, in cui ammettere amaramente che l’alibi del Cavaliere non tiene più, che ha coperto le troppe magagne del Pd, che questa sinistra di conservazione ha faticosamente sopportato i suoi uomini migliori, tenendoli in gabbia e diffidando delle loro riforme, che manca il coraggio per dialogare con quei mondi diversi che ti fanno vincere – borghesia, ceto medio, anche i ricchi, sì anche i ricchi, mica robaccia – rassicurandoli che quelli di sinistra mica ti rubano in casa, che la difesa delle fasce deboli deve diventare un punto di orgoglio soprattutto per chi ha di più, e pensare finalmente che essere di sinistra è – a scelta – essere più fighi, o più snob, o più illuminati, o più leggeri di quella leggerezza consapevole, o più moderni (magari !), o più distaccati dal Potere (magari/1 !), o più tecnologici (magari/2 !), o più aperti a mondi diversi e a sensibilità diverse, o a vivere con più serenità e senza giudizio morale le vite degli altri, qualunque esse siano (magari/3/4/5 !!!), insomma a sentirsi migliori dentro, senza dover opporre questa condizione come un manganello della storia.