“Non illudetevi, quando Silvio lascerà l’Italia resterà la stessa”

“Non illudetevi, quando Silvio lascerà l’Italia resterà la stessa”

Un importante imprenditore italiano fondatore del gruppo Elica, che produce cappe da cucina, è anche vicepresidente del gruppo Pdl al Senato. In questo momento “finale”, tra nostalgie per la lira e per il Berlusconi che fu, abbiamo intervistato Francesco Casoli chiedendogli cosa pensa del presente e del prossimo futuro. Il senatore ammette implicitamente la sconfitta del progetto politico cui ha creduto: “Ma il problema purtroppo non è Berlusconi, i guai dell’Italia esistevano prima e sopravviveranno anche dopo, se non rimuoviamo veti e posizioni di rendita”.  

Senatore Casoli, anche lei ha nostalgia della lira?
Se consideriamo il punto di vista imprenditoriale, le posso dire che l’azienda che presiedo è nata e cresciuta con la lira e quindi era abituata ad avere una competitività monetaria, che non incideva in modo indifferente sulla redditività aziendale. Nel momento in cui abbiamo adottato l’euro, è indubbio che abbiamo perso competitività monetaria e l’azienda ha dovuto rivedere la propria politica di investimenti, ricorrendo a parziali delocalizzazioni produttive. La battaglia con i principali competitor si è spostata sulla produttività, che nel nostro Paese sappiamo essere condizionata non poco da fattori “esterni” alle imprese.

Quindi torniamo alla lira?
Assolutamente no. Con questo infatti non voglio dire che ho nostalgia della lira, perché se l’Italia fosse rimasta alla lira sarebbe stata isolata da un punto di vista economico e politico, pagheremmo il petrolio e più complessivamente le materie prime il triplo del prezzo attuale, la ricchezza, il potere d’acquisto, la potenza reale del paese non sarebbero quelli attuali e da questa crisi saremmo usciti con le ossa rotte.

Non ne siamo ancora usciti, in realtà.
Parliamoci chiaro, noi certamente soffriamo, ma chi sta rischiando più di tutti sono la Germania e la Francia, che sono terrorizzati dal possibile default dell’euro, non tanto perché hanno a cuore la Spagna, la Grecia e l’Italia, ma perché sanno bene che se saltasse l’euro le conseguenze sulle aziende tedesche e francesi sarebbero pesanti.

Si spieghi, senatore.
Voglio dire che soprattutto l’Italia, dotata com’è di una struttura industriale molto forte e ancora reattiva, da una parte si troverebbe sicuramente a dover fronteggiare grossi problemi sociali e nell’impossibilità di acquistare beni e servizi al di fuori dei suoi confini, ma dall’altra metterebbe con le proprie imprese fortemente vocate all’export in forte stress il tessuto imprenditoriale francese e tedesco.

Se però la priorità è rafforzare l’euro e non tornare ognuno alla propria moneta, da dove partiamo?
Chiarendo e determinando la struttura di governance della moneta. Noi abbiamo perso la sovranità monetaria, ma non è che l’abbiamo attribuita a qualcun altro; l’abbiamo diluita in una sovrastruttura politico-economica, governata da due paesi – Francia e Germania – e che non appare in grado di gestire questa sovranità, anche perché la massa monetaria è amministrata con parametri certamente non positivi per l’Italia.

Sia più chiaro.
Voglio dire che nel momento in cui si è giustamente deciso di entrare nell’euro, avremmo dovuto pretendere regole più chiare per la governance della moneta. Dieci anni fa ci siamo buttati in maniera coraggiosa, abbiamo fatto i sacrifici richiesti, abbiamo certamente fatto una buona mossa, ma, assieme agli altri paesi che hanno dato vita all’euro, avremmo fatto bene a chiedere alla politica europea regole chiare fin dall’inizio e non a processo avviato.

Sa bene che, in un contesto complicato come quello europeo, le regole si dettano nella misura in cui si riesce a contare.
A prescindere da chi guida il governo, se pensiamo ad esempio alla Germania, là la macchina governativa ha un passo decisamente diverso, anche perché le regole del gioco sono profondamente diverse.

Mi sta dicendo che noi contiamo poco anche perché l’apparato pubblico viaggia al rallentatore?
Voglio dire che noi ci confrontiamo con paesi che hanno apparati pubblici più flessibili, più dinamici, dove la misurazione dei meriti è reale; da noi, quando si osa parlare di mobilità nel pubblico impiego, rischia di succedere il finimondo, introdurre criteri meritocratici significa automaticamente riempire le piazze di manifestanti. Ora gli striscioni ci sono contro Berlusconi, ma domani ci saranno contro chiunque proponga più meritocrazia e meno rendite di posizione.

Tornando all’euro, anche guardando al caso della Grecia, secondo lei il fronte contro l’euro sta crescendo e si corre il rischio di un breakup?
Non credo proprio che si stia radicando un sentimento anti-euro e non è assolutamente ipotizzabile un ritorno alla lira, alla dracma o al marco. La Grecia poi ha fatto quello che ha fatto perché non aveva scelta e se andiamo a vedere nel dettaglio l’accordo che Francia e Germania hanno imposto a Papandreou, si tratta di una intesa per certi aspetti “capestro”, perché mira in particolare a salvare le banche tedesche e francese dal default greco, scaricando sulla Grecia costi sociali pesantissimi.

Con un governo sempre più traballante, l’Italia rischia di fare la fine della Grecia?
Guardi il problema purtroppo non è Berlusconi, nel senso che è illusorio pensare che andato via Berlusconi si risolvano i problemi del paese. Deciderà lui quando andare via, si farà un nuovo governo, ma i problemi rimarranno esattamente gli stessi, perché non esistono bacchette magiche. E tantomeno una politica forte capace di cambiare radicalmente le regole del gioco, fare le riforme strutturali di cui da troppo tempo il paese ha bisogno, vincendo una stratificazione di veti e rendite di posizione.

Intanto però c’è da ottenere la fiducia sul maxi-emendamento, cominciando così a dare le prime risposte all’Europa: lei è fiducioso?
Guardi, io sono sempre dell’avviso che sia meglio campare un giorno da leoni che cento da pecora. Quindi credo che a questo punto ci sia bisogno davvero di uno scatto di orgoglio e, se fossi il Presidente del Consiglio, proverei a far passare qualcosa di forte e coraggioso, misure in grado davvero di cambiare le regole del gioco; senza sottostare, per una volta, a tutte quelle lobby ed a quegli interessi che impediscono alla politica di camminare con le proprie gambe.
 

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