«C’è più gente a San Giovanni che nei ristoranti». Lo twitta una militante, parafrasando ironicamente le parole del premier Silvio Berlusconi al G20 di Cannes. Lo ritwitta il canale ufficiale del Pd. Lo riprendono i maxischermi sul palco di piazza San Giovanni. E una battuta di spirito finisce così per descrivere meglio di tanti paroloni le centinaia di migliaia di militanti democratici accorsi all’appello del Partito Democratico, che riempiono la piazza e anche le immediate vicinanze.
Tanta, tantissima gente, accorsa dai quattro angoli della Penisola. I militanti di Bologna e dintorni fanno “cappotto”: al centro della piazza l’accento felsineo domina su tutte le chiacchierate, tanto che per un bel tratto di folla sentire cadenze diverse è davvero un’impresa.
I giovani non spiccano per il numero ma, tra tutti, sono quelli con le idee più chiare. Tutti quanti, in piazza San Giovanni, vogliono mandare a casa Berlusconi. Ma solo i giovani provano a rispondere alla fatidica domanda: «E dopo?».
Si respira la nostalgia della grande famiglia dell’Ulivo. La voglia di una sinistra unita e non è data solo dalle sporadiche macchie rosse con falce&martello o faccioni barbuti di Che Guevara, che spuntano solinghe qua e là nel mare verde-bianco-rosso del Partito Democratico. La si sente molto di più nell’insofferenza che la gente sembra nutrire per quelli che considera quasi come dei “guastafeste”, le voci fuori dal coro. Renzi il rottamatore nel migliore dei casi è un tabù, nel peggiore un bersaglio per epiteti molto poco gentili. Non a caso quando arriva sotto il palco e prova a stringere qualche mano viene duramente contestato. Deve intervenire il servizio d’ordine perché possa approdare serenamente al retropalco.
In questa piazza San Giovanni che chiede il cambiamento, l’antiberlusconismo di sempre rimane il collante più forte che ci sia. L’unico che metta d’accordo tutte le anime. Lo dice anche la giovane Sara di Bergamo arrivata in piazza con il suo amico Pietro, da Milano. «Oggi qui ci sono generazioni e idee diverse, ma tutte hanno un unico orizzonte: l’orizzonte di un’Italia unita senza Berlusconi». Quando i maxischermi trasmettono l’intervento del presidente del consiglio tra i Grandi 20, si solleva uno tsunami di fischi. E il “prof.” Vecchioni, che per il premier avrebbe in serbo addirittura un «calcio in c…», diventa subito il “politico” più applaudito dalla piazza.
Cosa vuole la gente di piazza San Giovanni? A parte mandare a casa Berlusconi, of course, che resta la prima cosa che ci si sente dire quando si ferma qualcuno. Gabriele Lorè è un giovane militante che arriva da Messina: «Siamo qui per ribadire ancora una volta che questo governo sta male». Claudio, arriva da Crespellano (Bologna). Ha qualche primavera in più rispetto a Gabriele. «Al Paese serve un’inversione a U. Sono venuto apposta per far sapere che tanta gento ormai la pensa così. Nonostante io venga da una zona ricca, noi non siamo certo quelli che riempiono i ristoranti e gli aerei. La crisi – dice – non è quella che ci raccontano».
Intanto il maxischermo rimbalza l’intervista ad una signora di mezza età appena scesa alla stazione Termini. Ai microfoni dice:«L’ultima volta che sono venuta a Roma a manifestare era nel ’94, e subito dopo il governo si è dimesso». La piazza esplode in un boato di applausi. Davide invece ha 24 anni: «Speriamo di riuscire cacciare il Berlusca» esordisce. Non è di sicuro l’unico a ribadire questo mantra. E poi? «Dobbiamo riunificarci. Non mi piace quello che sta accadendo ora in politica. Serve un rinnovamento importante, anche a sinistra, a partire dal Pd. Dobbiamo mettere da parte discorsi vecchi. Renzi? Se c’è una spaccatura, è quella tra la politica e gente. Basta discorsi. Ne ho sentiti troppi e mi sono stufato. Ho ascoltato Renzi, Vendola, Di Pietro, persino Berlusconi. Tutti parlano, ma ciascuno per sé».
Poco più in là i Giovani Democratici di Castel San Pietro (Bologna, ancora una volta), approfittano dell’atmosfera serena e festosa per sistemarsi sul prato come se ci fosse un pic-nic. La piazza è piena ma non c’è ressa, e si può manifestare anche restando comodamente sdraiati. Oltre agli slogan e agli sfottò per il premier, la sezione GD di Castel San Pietro pensa anche a proporre l’alternativa per il “dopo”. Qualunque cosa significhi. «Siamo qui perché ci aspettiamo che gli indecisi capiscano che il nostro progetto è la vera alternativa». Quale? «Contro il neoliberismo sfrenato, noi pensiamo che la green economy sia la risposta migliore. E il PD è l’unico partito che faccia politiche serie in questo senso». Gianfranco, da Milano, sfoggia un cartello giallo con una scritta nera. Non è una citazione da De Andrè, è un annuncio pubblicitario: «Cercasi governo serio e capace per recuperare credibilità all’estero». «Serve qualcuno di sinistra, qualcuno come Bersani». E di Renzi, cosa pensa? «Non che non condivida quello che dice, ma le idee vanno poi messe a servizio del partito. Sarebbe meglio evitare gli errori del passato».
Più in là un altro gruppo di giovani. Vengono da Potenza. «Siamo venuti a dire che un’alternativa esiste. Vogliamo un futuro migliore, più prosperità. Questo governo ha ridimensionato scuola pubblica, noi crediamo invece in una scuola aperta a tutti». «E vogliamo le riforme, subito» fa eco un gruppo di giovani viterbesi. «Pensioni, lavoro, non importa da dove si cominci, purchè lo si faccia. Basta precari, basta baby pensionati».
«Al ristorante ci vado, ma per lavare i piatti», si legge sullo striscione retto dal signor Orlando di Treviso.«Oggi l’Italia prende atto del fatto che esiste un grande partito, il Pd, che è unione e forza di popolo – ragiona – Un Pd pronto a prendersi le sue responsabilità in momento crisi. Un Pd dove la discussione interna è sempre risorsa, anche se è evidente che quando chi dirige decide, questa decisione va rispettata».
Rodolfo, da Modena, sfoggia una maglietta crivellata di colpi con lo slogan “sono sopravvissuto al governo Berlusconi”: «Le faccio tutte le manifestazioni – racconta – Spero che il governo cada presto, così potrò mettere la maglietta nuova che ho in serbo per l’occasione». Che c’è scritto? Sorpresa. Sul palco sale Sigmar Gabriel, segretario del tedesco Spd. Dalla piazza arrivano gli applausi. Più per il coraggioso italiano che per i contenuti. «Somiglia al figlio di Di Pietro», scherza una militante, che non nasconde la sua insofferenza per tutte queste guest star internazionali che ancora la separano dal discorso di Bersani. «Sì, ma parla come Wojtyla», replica di rimando qualcuno un po’ più indietro. Risate. Poi altri sbuffi perché Bersani ancora non si vede. E qualcuno teme che sul palco risalga Vecchioni a ricordare per l’ennesima volta che giovedì bisogna indossare tutti qualcosa di arancione.
Poi, finalmente, il Bersani arriva. La piazza scandisce: «Pierluigi, Pierluigi!» e «C’è solo un segretario». Prima del suo intervento gli altoparlanti diffondono qualche nota appena accennata dell’Inno alla Gioia.
Poi tocca all’Inno nazionale. Lo cantano tutti, con trasporto. Qualcuno borbotta: avrebbe preferito “Bella ciao”, come ai vecchi tempi. Qualcun altro sventola il tricolore, anche se i Quattro Mori dei militanti sardi sono molti di più. Tutto sommato, però, è la riprova che a sinistra certi simboli del patriottismo e dell’italianità non sono più tabù in piazza. Per lo meno nell’anno del 150° dell’Unità d’Italia.