Ci vorrebbe Dickens per il “lieto fine” di Ruby

Ci vorrebbe Dickens per il “lieto fine” di Ruby

Della figlia di Ruby, ormai, parlano tutti. Allora ne parliamo anche noi. È, del resto, anche questa una storia italiana. A cominciare dall’acuto gioco di disinformazione, organizzato da quel cervellone di Luca Risso (il marito, tra l’altro indagato per pedo-pornografia) che ha fatto credere che il parto fosse avvenuto ieri, in un’altra clinica, e che addirittura la figlia avesse un’altro nome. In realtà è accaduto oggi, a Genova, all’ospedale Villa Scassi. Proprio pochi giorni prima di Natale.

Insomma, se creduta come raccontata, è una favola a lieto fine, un racconto natalizio da Londra fine ottocento tanto necessario a un’Italia depressa dalla crisi, dalla manovra, dalle basse prospettive di crescita, dal freddo, dalla noia. Allora può far bene riguardarla insieme.

La piccola Ruby, dalle origini oscure, meno di vent’anni fa approda con la famiglia in Italia. Nessuno sa bene da dove provengano, è un segreto. Si sa solo che è un paese del Nord dell’Africa. In Sicilia cresce, studia e conoscere la religione cristiana. La favola potrebbe finire qui, ma è solo la prima parte. Ruby, finita la scuola, arriva a Milano dove può fare fortuna. Si mantiene grazie alla sua abilità di ballerina. Una vita difficile: è giovane (troppo), è piacente. Potrebbe cedere alla tentazione di fare la prostituta, ma finché riesce a mantenersi con la danza, resiste. Grazie alla sua arte, entra nei circoli più esclusivi della città, arriva sempre più in alto. Addirittura, in quelli frequentati da amici del Presidente del Consiglio. Non se lo aspettava di certo, ma le sarà sobbalzato il cuore quando alcuni buoni alfieri le propongono di ballare alle sue cene eleganti. Lei accetta.

Il Presidente, uomo buono e generoso, apprezza la sua bravura. Lei, invece, sente istintiva fiducia per un Innominato che non serve nemmeno convertire. Tra i due nasce l’amicizia e lei solo a quell’uomo riesce a raccontare il tremendo segreto della sua vita. Suo zio (o suo nonno?), dice, è Mubarak, il presidente dell’Egitto. Perbacco!, avrà pensato il Presidente. Questa ragazza ha origini tanto nobili ed è costretta a ballare per vivere. Rischiando, addirittura, di diventare una prostituta. Occorre aiutarla. Pur avendo molti impegni, decide di darle del denaro, qualche migliaio di euro indispensabile per vivere. «Così non ti dovrai mai prostituire», le dice.

Ma Ruby finisce arrestata per un furtarello e l’uomo buono e potente deve intervenire ancora, farla liberare anche a costo di attirare su di sé l’ira dei suoi nemici, i cattivi che colgono al volo il pretesto per portarlo in tribunale. Come ogni uomo buono in un mondo malvagio, deve sopportare qualsiasi tipo di calunnia, ma si difende. Lei dimostra di aver trovato, per fortuna, un uomo che la ama, Luca Risso, lo porta perfino in televisione ma questo non attenua gli attacchi contro il Presidente. Tuttavia resistono: lui resiste ai processi, allontana le accuse, anche se deve pagare in termini di potere. Lei, con il nuovo amore resta incinta, si sposa e alla fine partorisce una bimba, nell’entusiasmo un po’ sorprendente del paese.

Ecco la storia. Certo, è falsa. Lo sappiamo perché c’è anche altro. Le accuse di prostituzione mosse al Presidente, il processo, le carte, le intercettazioni, le testimonianze delle ragazze, la via Olgettina, l’abuso d’ufficio, il bunga bunga, la provenienza dal Marocco: tutte cose che raccontano un’altra vicenda. Anche la stoffa di Luca Risso, che spera che la bimba «abbia la bellezza di Ruby» ma non il suo cervello, non onora il romanticismo di una storia d’amore che, tutto sommato, appare finta come le scene dei programmi di Alfonso Signorini. Però la realtà squallida, il rotocalco volgare non travolgono tutto della favola. No. Qualcosa resta: ed è, ironico e insieme delicato, il nome della bimba. Perché sì, non si può fare a meno di pensare che Aida sia un omaggio, forse leggero, certo un po’ velato, al finto – ma chi può dirlo? – zio d’Egitto. E a tutto quel mondo forse davvero sognato. 

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