Storia (fin dove si può) di Santo Stefano, il primo martire

Storia (fin dove si può) di Santo Stefano, il primo martire

Definirli un’accoppiata vincente è una banalità: Natale e Santo Stefano funzionano bene da Dio. Certo, mettere qualsiasi cosa il giorno successivo al 25 dicembre è un po’ come mandare in onda una trasmissione dopo Striscia la notizia: il traino è garantito. Natale e Santo Stefano viaggiano di conserva da secoli e veleggiano tranquilli nel mare delle festività. Natale cade il 25 dicembre più o meno dal V secolo e, se Santo Stefano non fosse celebrato il giorno dopo probabilmente se lo filerebbero in pochi. In Italia il 26 è giorno festivo dal 1949 quando fu deciso di allungare le vacanze natalizie.

Lo hanno messo lì perché è il “protomartire”, ovvero il primo martire della cristianità, lapidato in quel di Gerusalemme attorno all’anno 36. Subito dopo il Natale si celebrano i comites Christi – i “compagni di Gesù”, detto in termini più banali – e così dopo il protomartire arrivano l’evangelista Giovanni, i Santi Innocenti, ovvero i bambini uccisi da Erode (ma se non erano battezzati non dovrebbero stare nel limbo? Come mai addirittura santi? Misteri del martirologio), e persino gli apostoli Pietro e Paolo che si veneravano in questo scorcio di giorni prima di essere spostati d’imperio al 29 giugno.

Per la verità anche Stefano si celebrava in un’altra data, il 3 agosto, ovvero il giorno della sua “invenzione”, cioè il rinvenimento della tomba, nell’anno 415 (il termine ecclesiastico “invenzione” appare quantomai ironico ai nostri occhi, perché spesso questi corpi di santi più che rinvenuti erano proprio inventati, in modo da favorirne il culto).

Comunque, il 3 agosto continua a essere il giorno di Santo Stefano per la chiesa ortodossa (questo è uno dei non moltissimi santi venerati sia dai cattolici, sia dagli ortodossi) e anche in casi particolari, come nella diocesi di Concordia Sagittaria, che ha nel protomartire il proprio protettore. Il caso di questa tranquilla e sonnacchiosa cittadina in provincia di Venezia dimostra come centri di primaria grandezza in epoca romana, tanto importanti da diventare sede di una cattedra vescovile, possano nel corso di secoli decadere al rango di “natìo borgo selvaggio”, tanto che al nome della diocesi hanno appiccicato pure Portogruaro che, essendo più grande, almeno qualcuno ha idea di dove sia.

Ma torniamo al nostro Stefano, della cui vita prima che diventasse cristiano non si sa nulla. Non sappiamo nemmeno se fosse un ebreo di Galilea o un pagano proveniente da altri luoghi, forse dall’Anatolia ellenica, visto che il suo nome è greco e significa “coronato”. Stefano era uno che ci sapeva fare assai con la lingua. Frequenta gli apostoli, che impongono le mani a lui e ad altri suoi sei compagni (in ciò la tradizione ecclesiale vede la nascita del diaconato) e con la sua parlantina converte un mucchio di gente.

Questo predicatore che arringa le folle e ne trascina una parte con sé finisce per infastidire il potere precostituito. Di più: quando discute con i sapientoni nel tempio finisce sempre per prevalere grazie alla sua abilità oratoria. Insomma, è un gran rompiscatole. Alla fine non ne possono più di lui e lo trascinano davanti al Sinedrio. L’accusa è di quelle gravi: «Bestemmia contro Dio e contro Mosè». Si lascia andare in una lunghissima autodifesa che è il più lungo discorso compreso negli Atti degli Apostoli. Ricco di saggezza e dottrina, ripercorre le sacre scritture sostenendo che Dio aveva preparato l’avvento di Cristo attraverso profeti e patriarchi.

L’arringa non ha granché successo: non si sa se atterriti dalla dottrina o dalla lunghezza del discorso, gli astanti cominciano a rumoreggiare e a tapparsi le orecchie, quindi trascinano il povero Stefano fuori dalle mura della città e lì, in campo aperto, gli tirano le pietre. Per avere più slancio nel lancio si tolgono le vesti, che evidentemente limitavano il movimento del braccio, e le depongono ai piedi di un giovane che assiste all’esecuzione, tal Saul. Questi, evidentemente entusiasta dello spettacolo a cui aveva assistito, si lascerà più tardi andare alle persecuzioni dei cristiani, salvo poi rimanere folgorato sulla via di Damasco da una voce che gli domanda: «Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?» e passare quindi alla storia come Paolo di Tarso, o San Paolo, che dir si voglia.

Stefano, invece, giace ormai cadavere e mani pie lo seppelliscono anziché lasciarlo preda degli animali selvatici, come si usava in questi casi. Se ne sta tranquillo sottoterra per quasi quattro secoli quando un sacerdote di nome Luciano sogna che il corpo del santo sia sepolto a Caphar Gamala, a nord di Gerusalemme. È il momento della cosiddetta “invenzione”, ma Stanto Stefano non è da solo: assieme a lui ci sono anche i corpi di San Nicodemo e San Abiba. Il protomartire viene traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion, a Gerusalemme, e dal 460 si ritrova nella basilica che l’imperatrice Eudocia erige in suo onore proprio nel luogo in cui sarebbe avvenuto il martirio.

Il santo è di quelli potentissimi: a fare miracoli basta addirittura la polvere della sua tomba. Ovvio quindi che quando i crociati si affacciano i zona si disputino reliquie tanto ambite. E qui avviene il miracolo della loro moltiplicazione: un corpo di Santo Stefano si venera ancor oggi nella chiesa di Venezia che porta il suo nome, mentre a Roma si tocca l’apice nel XVIII secolo, quando si veneravano il cranio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, un braccio a Sant’Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a San Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Ceciliae infine un corpo quasi intero nella basilica di S. Lorenzo fuori le Mura. Alti pezzi vari di Santi Stefano sarebbero sparsi tra Napoli, Ancona, Ravenna, Besançon e Costantinopoli, ora Istanbul.

Solo a Roma si contano una trentina di chiese e cappelle intitolate al protomartire, la più celebre è quella di Santo Stefano Rotondo al Celio, voluta da papa Simplicio nel V secolo. La chiesa più famosa che porta il suo nome è la cattedrale di Vienna, Stephansdom – Steffl per gli amici – protagonista in luglio del coreografico funerale di Otto d’Asburgo, nipote di Francesco Giuseppe e figlio di Carlo, ultimo imperatore austriaco.

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Santo Stefano è il protettore dell’Ungheria, il cui regno era, per l’appunto, detto della “corona di Santo Stefano”. Per questo motivo gli è stata intitolata la corazzata asburgica di pertinenza della corona ungherese.

La Szent István, impostata a Fiume (Rijeka) nel 1912 sarà affondata al largo dell’isola di Premuda dal mas di Luigi Rizzo il 10 giugno 1918.
 

Oggi il culto di Santo Stefano è molto meno vivo di un tempo, tanto che se non fosse per via del 26 dicembre, sarebbe malinconicamente soltanto uno dei tanti santi del calendario.  

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