C’è bisogno di banda larga e di un’Agenda digitale per l’Italia perché sono fattori fondamentali per la crescita. L’Agcom, l’autorità per le garanzie delle comunicazioni, l’aveva scritto in maniera chiara e netta, in una lettera indirizzata all’esecutivo di Mario Monti. L’authority aveva reso pubblico un documento che chiedeva di inserire misure nei provvedimenti del governo.
Il governo Monti, nel decreto sulle semplificazioni, ha dedicato una parte all’agenda digitale. Nel comunicato che annuncia le misure varate (in attesa del testo ufficiale) si legge che la banda larga «è stata finora uno dei punti deboli delle politiche di governo. “Semplifica Italia” la rende obiettivo prioritario». Anche perché ci sono 3 milioni e mezzo di italiani che vivono il “digital divide” e, oltre a questo, sono oltre 3mila le località che hanno deficit infrastrutturali. Sono Quattro i focus che l’esecutivo individua per l’agenda digitale italiana:
- La costituzione di una cabina di regia per lo sviluppo della banda larga e ultra-larga.
- Apertura all’ingresso dell’open data, ossia la diffusione in rete dei dati in possesso delle amministrazioni, nell’ottica della totale trasparenza
- Utilizzo del cloud, ovvero la dematerializzazione e condivisione dei dati tra le pubbliche amministrazioni
- Incentivi alle smart communities, gli spazi virtuali in cui i cittadini possono scambiare opinioni, discutere dei problemi e, soprattutto, stimolare soluzioni condivise.
I dati dell’Agenda digitale europea testimoniano quanto l’Italia sia indietro nello sviluppo della banda larga. L’agenda è nata «allo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso». Basta visitare il sito dove si possono vedere i dati aggiornati anno per anno, e quelli relativi al 2011. Il riassunto è poco incoraggiante. Si legge: «La penetrazione (“take-up”) della banda larga rispetto alla popolazione è minore della media europea, solo il 59% delle abitazioni hanno una connessione internet, ma l’83% è in banda larga, un miglioramento signficativo, ma comunque sotto la media europea dell’87 per cento».
Lo sviluppo della banda larga, sempre secondo Agcom, è vitale. Perché, scrive l’authority, «nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese». E a preoccupare dovrebbero essere anche gli ultimi dati trimestrali (aggiornati al 30 settembre 2011) dove si legge che «in valore assoluto, le linee a larga banda si riducono rispetto al precedente trimestre «-0,18 mln circa» e ancora «negli ultimi dodici mesi la crescita della larga banda è stata intorno ai 0,3 milioni di accessi, superando i 13,3 milioni a fine giugno». Di diverso segno i dati del traffico mobile: «nei primi nove mesi dell’anno le sim che hanno effettuato traffico broadband dati hanno superato i 18,1 milioni (+9,8% rispetto al corrispondente valore del 2010)».
Che cosa sta facendo il governo Monti? Oltre al decreto sulle semplificazioni, lo scorso 2 gennaio era stata avviata la quarta fase del Piano Nazionale Banda Larga. Scrive il ministero guidato dall’ex-ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera, «il bando, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 29 dicembre 2011, riguarda le regioni Sicilia, Basilicata, Campania, Molise, Lazio, Marche, Toscana, Sardegna e Veneto». Importo complessivo stanziato per i lavori è 69 milioni di euro, che fanno parte dei 95 della “quarta fase”. Si parla di 2mila chilometri di rete in 400 aree comunali e sub comunali e, scrive il ministero, «in prevalenza in zone ad alta intensità rurale e distretti produttivi, per un totale di 358mila cittadini».
L’eredità delle indecisioni sugli investimenti in banda larga del passato si è sposata anche con una legislazione troppo restrittiva, come l’ex-decreto Pisanu sul wi-fi, che in maniera molto rigida chiedeva a tutti i fornitori di connessioni wireless di chiedere una licenza al questore. Dal gennaio 2011 il decreto è andato in scadenza. E ora? Per Guido Scorza, avvocato e docente esperto di Rete, «in linea generale si può dire che negli altri Paesi europei si va da Stati nei quali, come oggi in Italia, non esiste alcuna regola specifica per l’ipotesi di condivisione di risorse connettività in un esercizio pubblico a Paesi nei quali sono prescritte forme di identificazione degli utenti attraverso, tuttavia, meccanismi decisamente meno stringenti di quelli originariamente previsti dal Decreto Pisanu». E se l’Agenda digitale europea non dice niente su questa materia, continua Scorza, «la Commissione Europea non perde occasione di ricordarci che siamo in ritardo rispetto all’attuazione dell’agenda digitale e che pertanto non possiamo permetterci il lusso di consentire che forme di burocratizzazione inutili ed anacronistiche dell’utilizzo di internet come, appunto, era ormai divenuto il Decreto Pisanu, ostacolino o rallentino il processo di diffusione della banda larga in Italia».
Del decreto che doveva tutelare le esigenze di sicurezza, Stefano Zanero, ricercatore del Politecnico di Milano che si occupa di sicurezza informatica, dice: «La legge Pisanu non ha mai avuto molto senso, in quanto imponeva una raccolta di dati capillare con l’obiettivo di rendere impossibile un “collegamento anonimo” ad Internet. Dal momento che esistono moltissimi modi per averne uno (in Italia, e all’estero), l’obiettivo era di per sé poco utile da un punto di vista investigativo e ha creato invece un enorme problema a carico di chi volesse fornire, magari gratuitamente, connettività wireless».
Insomma, si è perso tanto tempo e ad impedire la diffusione della Rete ci si è messa anche la burocrazia, oltre alla mancanza di risorse in investimenti strutturali. Per Zanero «grazie anche a quella norma, non siamo solo “indietro”, abbiamo quasi perso il treno. Esistono numerose reti wi-fi comunali o pubbliche, ma molto spesso hanno dovuto essere architettate in modo da garantire l’identificazione dell’utente. Sarebbe il caso di cominciare a considerare che quest’obiettivo è sostanzialmente inutile. Una rete municipale o pubblica wi-fi dovrebbe essere proprio questo: pubblica ed aperta, senza inutili tentativi di “autenticazione” e identificazione».
A Milano per citare un esempio fra le tanti reti municipali pubbliche e aperte che finalmente si stanno sviluppando, la promessa è quella di 1.200 hotspot nel corso del 2012, spesa prevista 6 milioni di euro. Per ora, progetti di questo tipo sono confinati a livello locale, a seconda delle disponibilità economiche delle singole amministrazioni. All’estero, la prima città americana a essere completamente coperta da wifi è stata Sunnyvale in California, mentre Swindon è stata la prima città inglese. A Londra invece si allargherà, oltre alla City dove è presente al 95%, il servizio di wi-fi a Westminster, Kensington e Chelsea, mentre a Parigi e New York una connessione wireless è presente nei parchi.
Quello che è prioritario, in una fase di bassa crescita come quella attuale per l’Italia, è un’attenzione nuova alla banda larga. Anche perché Agcom ricorda come «il livello del Pil pro capite sia superiore di circa il 3-4 punti percentuali una volta che gli investimenti nelle nuove reti a banda larga sono stati realizzati». E, giusto per ricordarci dov’è l’ltalia rispetto alla banda larga «a fine 2010 registrava una penetrazione del 22% rispetto alla media EU del 26,6 per cento». Obiettivo per il 2020? 100% di copertura della banda e almeno la metà di abbonamenti a banda super-larga.