Nonostante “i compiti a casa” siano stati eseguiti con rigore e serietà dal governo dei professori di Mario Monti – l’ha riconosciuto qualche giorno fa anche la cancelleria Angela Merkel – lo spread sui titoli di stato italiani, che pur ha registrato qualche flessione, continua a essere molto alto.
Non è facile individuare le ragioni dell’eccessivo differenziale tra i titoli del nostro debito e quello tedesco. Tuttavia può essere interessante azzardare alcune ipotesi. La prima è che la manovra “lacrime e sangue” voluta dal premier italiano, ancorché lodata in Europa da Merkel e Sarkozy, non abbia sgomberato il campo completamente dallo scetticismo che circonda l’Italia, paese caratterizzato storicamente da spesa facile, scarsa propensione all’innovazione, politiche di welfare conservatrici. Questo tipo di considerazione ci porta dritto a un secondo ordine di motivazioni e a una lettura, se non alternativa, complementare a quella sopracitata. Ovvero che la crisi europea, che colpisce con maggiore intensità i paesi con il debito pubblico più elevato, non è solo di natura economica ma anche politica e investe il modello stesso di governance dell’Unione.
Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i temi economici sa che è impossibile governare una moneta unica senza una banca centrale che funge da prestatore di ultima istanza. In altri termini, finché i poteri della Bce saranno limitati, l’euro andrà incontro inevitabilmente a speculazioni di carattere finanziario e che questo possa riguardare titoli di stato francese, greci o italiani è questione di poco conto.
Riflettere sul modello di governance della Ue, comprendere gli errori finora commessi da Bruxelles non significa avvallare posizioni euroscettiche, al contrario può rivelarsi utile esercizio per riorientare la road map di un’Unione europea, oggi quanto mai fragile, evitando il collasso politico-economico dell’intera costruzione comunitaria.
Vladimir Bukovskij, ex dissidente sovietico, che oggi vive e lavora a Cambridge, in un saggio di qualche anno fa intitolato EURSS. Unione Europea delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Spirali Edizioni), sottolineava come l’Unione Europea assomigliasse a «una variante raddolcita dell’Unione Sovietica». Tale affermazione, lungi dall’essere una boutade polemica, veniva supportata dalle evidenze empiriche relative all’eccesso di burocrazia e al deficit di democrazia di processi decisionali presi da commissari «che nessuno ha eletto, ma che si eleggono da sé, come un tempo avveniva al Politburo» e da una lucida analisi storica sulla genesi dell’Unione Europea.
Il saggio, scritto a quattro mani con Pavel Stroilov, ricercatore presso il Centro Memorial di Mosca, avvalendosi di un’ampia documentazione proveniente dall’Archivio della Fondazione Gorbaciov e del Comitato Centrale del Pcus, prende le mosse da una data storica memorabile, eppure sconosciuta ai più, il 26 marzo 1987. Quel giorno il Politburo del Cc del Pcus decise per gli anni a venire la politica dell’Urss nell’Europa Occidentale. «Gorbaciov – scrivono i due autori – sintetizzò tale politica con brevità e chiarezza, come un ordine di combattimento: Strangolare abbracciando».
Il progetto, che di lì a poco verrà conosciuto dal mondo intero come Casa Comune Europea, altro non era che l’estremo tentativo da parte dei dirigenti sovietici di mettere al sicuro i confini occidentali dell’impero, visto che gli altri regimi comunisti europei stavano già fraternizzando con l’Occidente, attraverso un abbraccio soffocante con il Vecchio Continente.
Gli incontri dei mesi successivi tra Gorbaciov e i leader dei principali partiti comunisti e socialisti europei, Natta, Mitterrand, Gonzales, Brandt, riportati nel saggio di Bukovskij e Stroilov, evidenziano come l’idea di un’Europa socialista saldamente legata all’Urss trovasse ampio consenso in vari settori della sinistra. Piaceva molto non solo al comunista Natta ma anche al socialista Mitterrand desideroso di affrancare l’Europa dalla Nato e dall’influenza statunitense.
Il crollo dell’Unione Sovietica, un evento che nemmeno i cremlinologi più esperti seppero prevedere, mandò in frantumi una metà dell’edificio europeo, ma non riuscì a impedire che la Ue nascesse avendo come riferimento ideale un’Europa socialista e un impianto istituzionale burocratico, verticistico, dirigista, privo di organi veramente rappresentativi.
Vaclav Havel, che fu uno dei primi ad accorgersi di questa stortura, in tempi recenti si era adoperato affinché la Ue avesse come partner privilegiato gli Stati Uniti anziché la Russia. Forse temeva che la Federazione Russa di Putin, degna erede dell’Urss, potesse riesumare l’idea dell’abbraccio mortale attraverso l’arma energetica del gas.