«Il fallimento delle trattative sul secondo piano di salvataggio significa l’uscita dall’eurozona della Grecia». Le parole di Pantelis Kapsis, portavoce del governo ellenico, non lasciano spazio all’ottimismo. Il 2012 è cominciato con le stesse paure che si sono materializzate nel 2011: una secessione volontaria dall’euro. Sebbene i Trattati lo vietino, le dichiarazioni di Kapsis hanno risuonato con forza nei corridoi della Commissione europea, che nel pomeriggio ha dovuto spiegare che «non ci sono piani per un’uscita dall’eurozona nel 2012». Nonostante questo, nel prossimo Consiglio europeo del 30 gennaio «informalmente si potrebbe discutere anche della permanenza della Grecia nella zona euro», affermano fonti della Commissione Ue a Linkiesta.
La strada che porta la Grecia fuori dall’euro ha due date ben precise. La prima è legata al giorno in cui si terranno le elezioni, che secondo Kapsis saranno in aprile. La seconda è il 20 marzo, data nel quale scade un bond ellenico del valore di 14,4 miliardi di euro. Il nuovo premier Lucas Papademos sta cercando di trovare una quadratura con le parti sociali e la classe politica per adottare le misure di austerity richieste dal Fondo monetario internazionale. Nello specifico, il punto più difficile è legato al piano 2013-2015, che prevede un forte ridimensionamento della spesa pubblica, a partire dai tagli al settore pubblico. A quel punto, si dovrà capire che direzione prenderà la campagna elettorale e in che modo i candidati si presenteranno alle urne. Il timore, raccolto anche dal quotidiano Ekathimerini, è che possa prevalere una linea oltranzista e contraria all’euro. Del resto, il ritorno alla dracma è quanto diverse major finanziarie si attendono da mesi. Il principale interdealer broker mondiale, ICAP, sta testando i cross euro/dracma e dollaro/dracma in via precauzionale. Allo stesso modo CLS, cioè la più grande clearing house globale del mercato valutario, sta facendo stress test su divise fittizie capaci di replicare quelle che erano in vigore prima dell’introduzione dell’euro. A confermarlo fu Ed Brown, executive vice-president della divisione ricerca di Icap Electronic Broking, che non poteva escludere «diverse uscite» dalla zona euro. Un’ipotesi, quest’ultima, smentita dalle fonti della Commissione Ue contattate da Linkiesta, che però confermano che «esistono diversi studi di rilievo su questo tema, che è in costante evoluzione». Non bisogna stupirsi del dialogo, spiega il funzionario, «dato che nell’incertezza avanzano malizia e speculazione».
La strada per la ristrutturazione del debito greco, iniziata mesi fa, è in alto mare. L’advisor legale Cleary Gottlieb e quello finanziario Lazard stanno lavorando da tempo su come gestire l’emergenza greca. I tecnici del Fmi sanno che i margini operativi sono pochi, come dimostra la ricerca pubblicata in ottobre e anticipata su Linkiesta. In caso di un haircut del 50% e una piena adozione del programma di sostegno, il debito pubblico greco potrebbe tornare al 120% del Pil solo nel finale del 2020. Di contro, se la svalutazione fosse più onerosa, cioè del 60%, il debito calerebbe al 110% del Pil nello stesso intervallo di tempo. Cifre imponenti, ma non sufficienti ad alleviare la sofferenza di Atene. Il Pil continuerà a contrarsi anche per il 2012, secondo le stime del Fmi, e il debito pubblico potrebbe non scendere al 151% per l’anno in corso, nel caso in cui il programma di consolidamento del debito pubblico non sia adottato passo passo.
Il problema maggiore, spiegano sia Kapsis sia la Commissione Ue, è il secondo pacchetto di salvataggio. Dopo il primo bailout del maggio 2010, del valore di 110 miliardi di euro, è stato approvato un nuovo sostegno finanziario in ottobre, 130 miliardi. Ma Bruxelles proprio oggi ha ripetuto che prima bisogna risolvere la questione relativa al coinvolgimento dei creditori privati (Private sector involvement, o Psi) nella ristrutturazione di parte del debito greco, circa 365 miliardi. I 206 miliardi di euro in mano a banche e fondi dovrebbero essere tagliati del 50% su base volontaria. E su questo punto, arriva il difficile.
L’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria internazionale, sta trattando da mesi sull’haircut (svalutazione del valore nominale dei bond detenuti) previsto al debito ellenico detenuto in mano dei creditori privati. Nell’accordo derivante dal Consiglio europeo del 21 luglio scorso si parlava di un Private sector involvement del 21%, troppo poco per garantire un veloce ritorno alla stabilità economica nel Paese. Nel Consiglio europeo del 26 ottobre è arrivata la prima apertura a un taglio più elevato, pari appunto al 50%, capace di portare l’esposizione di banche e fondi a quota 103 miliardi di euro. Anche in questo caso, tuttavia, lo spazio operativo è troppo piccolo. Ecco quindi che una soluzione più radicale è la più probabile. Come anticipato da Linkiesta lo scorso 30 settembre, stanno continuando le discussioni in merito a un haircut del 75 per cento. Questa via rischia però di creare un precedente per tutte le operazioni di questo genere nell’eurozona. E non deve stupire che Vega Asset Management, uno dei maggiori fondi hedge globali, abbia abbandonato il tavolo delle trattative poco prima di Natale, minacciando azioni legali. I creditori privati continuano a volere lo stesso trattamento di quelli pubblici, un’opzione non nelle corde del governo greco.
Nonostante l’allarmismo di Kapsis, è impossibile che la Grecia possa uscire dall’eurozona in tempo breve. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona, infatti, non disciplina questa evenienza, ma solo l’uscita dall’Europa. Il cancelliere tedesco Angela Merkel continua a spingere per una riforma entro fine anno. Dopo il vertice europeo del 9 dicembre scorso, la prossima tappa sarà quella del 30 gennaio. Sarà l’occasione per «parlare di ogni eventualità, compresa quella di una deriva secessionista della Grecia», afferma il funzionario della Commissione. E, come spiega proprio ICAP nella sua nota serale, non bisognerà dimenticarsi che «l’incertezza è l’unica certezza per il 2012».