La mazzata arriva nel primo pomeriggio: Luigi de Magistris, attuale sindaco di Napoli, già europarlamentare dell’Italia dei Valori e, prima ancora, pubblico ministero a Catanzaro andrà a processo. L’accusa: aver acquisito illegittimamente, nel 2009, insieme al consulente informatico Gioacchino Genchi, i tabulati telefonici di alcuni parlamentari, tra i quali quello dell’allora presidente del consiglio Romano Prodi, nell’ambito dell’inchiesta della procura di Catanzaro Why Not. Oggi il gup di Roma Barbara Callari ha accolto le richieste del procuratore aggiunto Alberto Caperna, rinviando a giudizio i due, contestando il reato di concorso in abuso d’ufficio. A partire dal 17 aprile prossimo sulla vicenda dovranno pronunciarsi i giudici della seconda sezione penale del tribunale capitolino.
Per l’accusa de Magistris e Genchi avrebbero acquisito i tabulati di numerosi parlamentari senza aver chiesto preventivamente l’autorizzazione alle Camere di appartenenza. Non solo Prodi: la vicenda riguarda anche l’allora presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu, l’ex ministro Clemente Mastella, i deputati Domenico Minniti, Sandro Gozi, Antonio Gentile, Francesco Rutelli e Giancarlo Pittelli. Tutti, tranne Pisanu, si sono costituiti parte civile. Il sindaco di Napoli dice di aver affidato tutto a Genchi e di «non sapere per quale motivo e con quale metodologia l’allora suo consulente individuò quelle utenze riconducibili a parlamentari, molte delle quali, peraltro, non avevano nulla a che vedere con l’indagine Why not». Genchi respinge l’accusa e rilancia, sostenendo d’aver svolto gli accertamenti secondo determinati e precisi input datigli dall’ex pm, senza sapere che quelle utenze telefoniche su cui stava indagando portassero direttamente ad alcuni esponenti politici.
C’è però un livello politico che è ben più spinoso: il sindaco “scassatutto”, protagonista della rivoluzione arancione partenopea, colui che si è autodichiarato in discontinuità con la politica campana, meridionale, nazionale e soprattutto colui che ha chiesto a più riprese e su più vicende le dimissioni di politici rinviati a giudizio, si trova oggi, per un singolare contrappasso, dall’altra parte, quella dell’accusato. E deve incassare perfino il commento – ironico ma non troppo – di un suo acerrimo nemico politico, Clemente Mastella, che per bocca del suo avvocato fa sapere che questo per lui è un parziale risarcimento.
De Magistris nel pomeriggio riunisce i suoi fedelissimi e affida a una breve nota il suo pensiero: «Sono amareggiato per la decisione del Tribunale di Roma rispetto a un procedimento in cui mi appare chiara l’incompetenza dell’autorità giudiziaria di Roma, così come è ancora più evidente l’infondatezza dei fatti. Non mi aspettavo questo rinvio a giudizio – ha aggiunto – ritenevo e ritengo un dovere costituzionale indagare nei confronti di tutti e anche nei confronti dei parlamentari e dei potenti. Mi auguro che la magistratura giudicante, nella sua autonomia e indipendenza, riconosca la correttezza del mio operato e l’infondatezza degli addebiti formulati dalla Procura di Roma».
Sui social network, terreno rispetto al quale l’attezione del sindaco di Napoli è fortissima, la notizia diventa subito fra le più discusse. Su Twitter in particolare. I fedelissimi arancioni sono sempre e comunque del partito del sindaco e gli chiedono «di andare avanti». Però qualcuno fa notare a de Magistris che ora forse qualcosa è cambiato: «Forse si dovrebbe dimettere». Sempre su Twitter, degno di nota uno scambio di riflessioni: Antonio Polito, napoletano, ed editorialista del Corriere della Sera commenta: «Essere “rinviato a giudizio” per l’Italia dei Valori è peggio di appestato. Dimissioni?». Pierluigi Battista del Corriere ribatte: «Il “rinvio a giudizio” non è nulla, dal punto di vista garantista. Per i giustizialisti come De Magistris è già una condanna».