Le negoziazioni sulla ristrutturazione del debito greco vanno verso Parigi. Più precisamente, verso il Club de Paris, lo speciale consesso internazionale che entra in gioco quando una nazione si dichiara insolvente. La strada verso la stabilità finanziaria di Atene è quindi sempre più lontana. E dire che ieri, dopo quasi tre mesi di trattative, l’accordo era quasi vicino. L’Institute of international finance (Iif), cioè la lobby bancaria rappresentante dei creditori privati, e la Grecia avevano raggiunto un memorandum d’intesa. La bozza preventiva discussa in queste ore prevede un taglio sul Net present value (Npv, o valore attuale netto) compreso fra il 65 e il 70 per cento. Più di quanto previsto dalle disposizioni del Consiglio europeo dello scorso 26 ottobre. Queste infatti vedevano un haircut, ovvero una perdita rispetto al valore nominale dei bond detenuti in portafoglio dagli investitori, del 50 per cento. Proprio su questo punto sarebbe arrivato il gran rifiuto degli hedge fund, i fondi d’investimento che hanno parte del debito greco.
«L’obiettivo è quello di trovare una soluzione sostenibile entro l’apertura dei mercati di lunedì, ma è davvero difficile, attualmente tutto è in stallo», spiega a Linkiesta il gestore di un fondo hedge coinvolto nelle trattative. Nel caso non ci siano passi avanti, l’Iif sarebbe pronta a rivolgersi al Club de Paris. Eppure, ieri Charles Dallara, direttore generale dell’Iif, si era detto tranquillo. Sembrava avesse ragione. Alla stampa greca ha spiegato che ci sono stati «significativi» passi avanti nelle negoziazioni. La bozza in discussione vede una svalutazione fra il 60% e il 70% del valore nominale attuale netto dei bond, che saranno scambiati con nuove obbligazioni con scadenza a 30 anni. Queste avranno un grace period di 10 anni, cioè dovranno essere detenute in portafoglio dai creditori per almeno un decennio. Il coupon dei nuovi bond sarà in ogni caso inferiore al 4%, come richiesto dal Tesoro greco. Le ultime indiscrezioni parlano di un coupon del 3,7%, fissato per dieci anni e poi progressivamente più elevato, ma i dettagli saranno ancora discussi fra oggi e domani. Con questo assetto, il debito greco dovrebbe rientrare sotto quota 120% del Prodotto interno lordo alla fine del 2020.
Questa è la road map che aveva stabilito il Fondo monetario internazionale con la Debt sustainability analysis (Dsa) di fine ottobre. Con un Private sector involvement (Psi) in grado di prevedere un haircut del 50%, il debito greco passerebbe dall’attuale 165% al 120% a fine 2020. Ma il Tesoro greco, insieme ai funzionari del Fmi, si sono resi conto che non bastava. Ecco quindi perché il memorandum su cui si sta lavorando prevede un taglio più ampio. In ambito europeo è già arrivata l’approvazione di massima a questo accordo. Così facendo si permetterebbe lo sblocco del secondo piano di salvataggio coordinato da Fmi, Ue e Bce negli scorsi mesi. Inoltre, si potrebbe garantire il pagamento del maxi bond da 14,4 miliardi di euro la cui scadenza è prevista per il 20 marzo. Più volte il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos ha ribadito che quella era la data fondamentale per capire il futuro della Grecia. Nel caso le negoziazioni sullo swap dovessero prolungarsi, il Tesoro greco ha già pronto l’asso nella manica, la clausola di azione collettiva (Cac). In questo modo, i creditori privati sarebbero forzati ad accettare i termini proposti dal governo di Atene. Una soluzione considerata «inaccettabile» dagli hedge fund coinvolti della dialettica.
Sono ancora diverse le controversie da risolvere. La più ostica nel breve termine riguarda il trattamento che l’accordo di swap sul debito potrà avere in sede legale. «Scatterà l’evento creditizio oppure no?», si domandano i gestori di hedge fund esposti sulle obbligazioni elleniche. L’Institute of international finance continua a rimarcare la volontarietà dell’azione, ma i dubbi rimangono. La International swaps and derivatives association (Isda), cioè il consorzio che regolamenta lo scatto dei Credit default swap, i derivati che immunizzano dal fallimento di un asset, vuole attendere il programma definitivo. È però improbabile che possa considerare l’accordo sul debito greco come evento creditizio, cioè insolvenza. Questo perché, come spiegato in passato dall’Isda, questo avviene solo su una parte dello stock di debito della Grecia, 206 miliardi di euro su 365 complessivi. Inoltre, se sarà mantenuto il carattere volontario della ristrutturazione sul debito greco, è possibile che non scattino le clausole di pagamento dei Cds. E a questo punto gli hedge fund potrebbero legittimamente citare in giudizio il governo greco per inadempienza contrattuale. Ma non c’è solo questo.
Nel lungo termine, invece, la questione fondamentale è capire in che modo la Grecia potrà ritrovare la via della sostenibilità del debito. Le stime di crescita del Fmi vedono per il 2012 un Pil in forte contrazione. Inoltre, il processo di privatizzazioni che il Tesoro greco sta portando avanti è troppo lento rispetto alle previsioni. Il sentore degli investitori è che, anche in caso di accordo sulla ristrutturazione del debito ellenico, la sofferenza di Atene non sarà ancora terminata. Sempre che non si vada davvero di fronte al comitato direttivo del Club de Paris che, come successo per l’Argentina, potrebbe gestire tecnicamente il default, curando insieme al London Club le singole posizioni creditorie. Questo perché il consesso parigino si occupa dei creditori pubblici, mentre quello londinese di quelli privati. In ogni caso, tutto è ancora in alto mare. E non è detto che si possa trovare una soluzione che escluda il Club de Paris.