I fondi in fuga dall’Irlanda, il mercato teme nuovi scossoni

I fondi in fuga dall'Irlanda, il mercato teme nuovi scossoni

È fuga dall’Irlanda. I Money market fund, storico pilastro della liquidità per i mercati finanziari, stanno abbandonando Dublino. Sono 92 i fondi del mercato monetario che hanno preferito chiudere i rubinetti all’Irlanda negli ultimi mesi dell’anno scorso. I dati della Banca centrale europea (Bce) evidenziano quello che era già successo in aprile con l’Italia. I mercati si fidano sempre meno di Dublino e stanno privilegiando investimenti meno rischiosi. Lo stesso destino era toccato anche al Portogallo che, dopo il declassamento di Standard & Poor’s, è ripiombato nella sfiducia dei mercati finanziari. Come se non bastasse, S&P ha anche tagliato il rating del fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf), passato da AAA ad AA+. 

Il perdurare della crisi irlandese non è nuovo. Anzi. Il Fondo monetario internazionale ha detto che la strada di Dublino per il ritorno alla normalità è corretta, mentre il primo ministro Enda Kenny ha spiegato di voler rientrare sui mercati obbligazionari nel corso del 2013. Se così fosse, significherebbe che il supporto del Fmi è servito a qualcosa. Eppure, nonostante gli 85 miliardi di euro facenti parte del piano di salvataggio, Dublino è ben lungi dal ritrovare la tranquillità. La National asset management agency (Nama), la bad bank statale dentro a cui sono stati inseriti gran parte degli asset deteriorati prima in seno alle banche irlandesi, continua a essere in perdita. E come se non bastasse, restano elevate le perdite anche della banca centrale, pari a 136 miliardi di euro al 30 dicembre 2011. Dato che il Prodotto interno lordo (Pil) irlandese per il 2011 è stimato in 198 miliardi di euro, le perdite della banca centrale sono il 68,7% del Pil. 

Dublino ha di fronte a se diverse sfide. La prima è quella di un totale ritorno sui mercati finanziari, senza il supporto del fondo Efsf. Operazione non impossibile guardando i rendimenti a cui stanno viaggiando le obbligazioni irlandesi, circa 7,8 per cento. Tuttavia, è ancora elevata la dipendenza dalla liquidità dell’Emergency liquidity assistance (Ela), lo speciale programma che deroga la possibilità di sostenere il sistema bancario tramite l’acquisto diretto di bond da parte della banca centrale nazionale. Tramite questo stratagemma sono stati immessi oltre 51 miliardi di euro di liquidità nel corso del 2011. Inoltre, l’ammontare delle cambiali (promissory note) che hanno giovato dell’Ela è stato, secondo i dati della banca centrale irlandese, pari a circa 43 miliardi di euro. L’Ela non è stato però l’unico mezzo con cui sono state aiutate le banche irlandesi. È anche stato usato l’Elg (Eligible liabilities guarantee), uno schema che permette agli istituti di credito irlandesi di emettere bond garantiti dallo Stato dando come collaterale le proprie passività di bilancio. Un modello, quest’ultimo, che doveva esaurire il suo compito il 31 dicembre 2011, ma che invece è stato esteso a tutto il 2012. Il calcolo di Goldman Sachs sull’utilizzo dell’Elg vede l’emissione di circa 54 miliardi di euro di obbligazioni bancarie per il 2011, mentre non contempla ancora le previsioni per l’anno in corso.

Ma oltre all’Irlanda c’è di più. Il Portogallo, infatti, è tornato a essere al centro dell’attenzione degli investitori per via del recente downgrade da parte di Standard & Poor’s. La più importante agenzia di rating al mondo ha infatti tagliato ancora il giudizio su Lisbona, che ora è “junk”, spazzatura. A peggiorare la situazione ci penserà la recessione. Secondo le previsioni macroeconomiche autunnali della Commissione europea, il Portogallo registrerà una contrazione del Pil del 3% nel corso dell’anno, un valore non in linea con quello che pensava il Fmi nel suo programma. Intanto, aumentano i timori fra gli analisti che possano essere necessari più soldi rispetto ai 78 miliardi di euro del bailout varato l’anno scorso. «La recessione è la maggiore preoccupazione per il Paese, dato che l’austerity potrebbe peggiorare la congiuntura», spiega in una nota la banca spagnola Santander. Più caustica è invece la svizzera Ubs: «I tassi d’interesse sul debito portoghese rimangono insostenibili ed è possibile che occorra una revisione del programma di sostegno».

Oltre alla Grecia, quindi, c’è di più. Dublino e Lisbona non smettono di preoccupare i mercati. E considerato che in genere i Money market fund anticipano di diverse settimane gli eventi, è possibile che abbiano deciso di abbandonare l’Irlanda in via preventiva. Secondo il consueto report di settore da parte di Fitch, il ritiro della liquidità dall’Italia era iniziato in aprile. Ora, stando ai dati della Bce, sono solo 27 i Mmf presenti sul mercato italiano, mentre sono 486 quelli presenti in Francia. Tutti gli altri, sono fuggiti. Nonostante questo, le aspettative di Fitch vedono un repentino ritiro anche da Parigi, dopo il downgrade del rating AAA da parte di S&P. Questo si tradurrà in una minore finestra di credito disponibile per il sistema bancario europeo, a cui la Bce dovrà sopperire. Il 28 febbraio ci sarà la seconda tornata del programma di rifinanziamento a lungo termine, (Long term refinancing operation o Ltro). Facile immaginare che ci sarà coda per chiedere un supporto all’Eurotower.  

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