BRUXELLES – Due milioni di posti di lavoro in tutta Europa, un fatturato annuo di quasi 150 miliardi. Mentre Napoli si affanna a inviare fuori regione e anche fuori Italia la propria immondizia all’insegna dell’eterna emergenza, la Commissione Europea indica uno dei settori in crescita e fonte di occupazione e danaro: guarda un po’, proprio la gestione e il riciclaggio dei rifiuti. In molti parti d’Europa il business è già a pieno ritmo, solo in Italia si stenta a comprenderlo. Non solo nella travagliata provincia di Napoli, basti pensare all’allarme a Roma per la discarica di Malagrotta, ormai stracolma, del resto nella capitale la raccolta differenziata (dato Istati 2010) si ferma al 22%, per una media nazionale del 31,7%. Milano è al 35,9%, Torino al 43,3%, Genova al 27%, Napoli al 16%. Fanalino di coda, tra le grandi città, Palermo (7,7%), Catania (6,8%) e Messina (5,3%). Quanto a riciclaggio di rifiuti solidi urbani l’Italia è al penultimo posto tra gli stati dell’Europa occidentale, davanti al solo Portogallo.
La Commissione, in uno studio pubblicato ieri, lo dice chiaro e tondo: basta discariche, la soluzione passa per un’altra strada. Una strada che non solo è ecologicamente molto più sana, ma porta occupazione e tanti soldi. «È necessario considerare i rifiuti una risorsa – ha detto il commissario all’Ambiente Janez Potocnik – interrare le risorse in discarica è una politica estremamente deleteria». Nel 2008, dice la Commissione, la gestione e il riciclaggio dei rifiuti in Europa davano lavoro a 2 milioni di persone, per un fatturato di 145 miliardi di euro, pari all’1% del Pil Ue. C’è ancora spazio per crescere, per Bruxelles nel 2020 si può arrivare a un fatturato annuo di 187 miliardi di euro a 2,4 milioni di posti di lavoro, solo applicando a pieno le varie direttive Ue che obbligano gli stati ad approvare a livello di raccolta, gestione e riciclaggio. L’Italia è sotto procedura d’infrazione proprio per violazione delle normative, in relazione alla vicenda napoletana. E nel 2005 ha comunicato un record assoluto di rifiuti in discarica, 10,8 milioni di tonnellate.
Lo studio della Commissione ha messo a confronto varie realtà concrete, e noi ne prendiamo due opposte: quella negativa, di Napoli, e quella virtuosa del Brandeburgo, un land dell’ex Germania Est. La vicenda della “monnezza” napoletana è ben nota, interessanti sono le stime dei costi economici per l’area: nel 2007 il crollo del turismo a Napoli è costato 64 milioni di euro, nel 2008 la scoperta di contaminazione da diossina nel latte di bufala ha portato al dimezzamento delle vendite delle mozzarelle – un settore che dà lavoro a 20.000 persone. Non basta: il costo dell’invio dell’immondizia in Germania è costato 400.000 euro al giorno – per anni. Complessivamente, per Napoli il costo è stimato a 24,7 miliardi di euro. Una follia.
Spostiamoci 2.000 chilometri a Nord, in Brandeburgo, nell’Est povero della ricca Germania. Con un aiuto pubblico iniziale di 138 milioni di euro, questo land che circonda Berlino, ha provveduto a chiudere, tra il 1990 e il 2002, 1.375 siti, le discariche principali sono passate da 100 nel 1990 ad appena 5 nel 2009. Contemporaneamente, sono stati creati 15 impianti di trattamento e riciclaggio. Risultato: nel 2006 delle 730.000 tonnellate annue di rifiuti prodotte dal Brandeburgo solo il 29% è finito in discarica. Secondo la Commissione, grazie alla sola costruzione dei 15 impianti di riciclaggio sono stati investiti 300 milioni di euro, complessivamente sono stati creati 1.800 posti di lavoro. Il fatturato annuo complessivo del riciclaggio e della gestione è di 100 milioni l’anno. Il business, però, può andare ben oltre, basti pensare all’esempio svedese che punta a trasformare i rifiuti in energia: il solo impianto di Malmö trasforma annualmente 650.000 tonnellate di rifiuti in 1,4 terawatt di calore e 0,3 terawatt di energia elettrica. Esempi analoghi si trovano anche in Olanda e in Germania – non a caso gli altri due paesi “destinatari” dei rifiuti napoletani, oltretutto non “comprati” ma accettati dietro pagamento. Un doppio business, insomma.
La Commissione sottolinea che per l’Italia la speranza c’è, non a caso cita esempio virtuosi, tra cui alcuni proprio in Campania: ad esempio la provincia di Salerno – un tiro di schioppo da Napoli – dove la differenziata arriva al 71% ad Avellino al 67%. Si tratta di farne la regola, non l’eccezione. In gioco sono tanti soldi, e soprattutto tanti posti di lavoro. Ce n’è bisogno, di questi tempi.