In ogni memoria teatrale esistono poche voci, rumori dentro e fuori scena che fanno eco a umanità e rivoluzioni. E non si tratta di pescare unicamente nelle ideologie o nei manifesti, ma di attraversare piuttosto una pratica di diritto sociale che il teatro restituisce come trama viva e mutevole alla collettività. Una finzione ammessa e voluta per indossare panni abitualmente scartati dal buon pensiero.
Il 3 dicembre 1951 Paolo Grassi e Giorgio Strehler, dopo aver inaugurato il Piccolo Teatro solo quattro anni prima con la messinscena de L’albergo dei poveri di Gorkij, sciolgono le briglie a una seconda rivoluzione: un’accademia d’arte drammatica a Milano nella storica sede di Corso Magenta, 63. Un criterio di eccellenza guida i due cervelli in lotta continua, con le anime calde e sfrontate il giusto per rispondere a nuove domande. Per rompere con le ragnatele delle nostalgie e levare ruggine dalla formazione teatrale, sempre più necessaria in un Paese che fino a quel momento ha il passo capitolino di Silvio D’Amico e dell’accademia milanese dei Filodrammatici da cui è uscito lo stesso Strehler.
«Sono convinto che dobbiamo concentrare sforzi e mezzi su poche cose, su poche iniziative, cercando di lavorare in profondità» scrive a proposito Grassi sulle pagine del Corriere Lombardo qualche mese prima. E sulla stessa convinzione proseguirà poi nel ’58 in una lettera a Strehler: «Noi ci siamo proposti di avviare un risanamento del teatro e delle persone che lo conducono e sono il teatro stesso […]». Quasi un esercizio di leva, che intende rinnovare con la premessa di una precisa coscienza e un margine alto di fisicità ed eloquio allenati.
Non a caso, tra le vite più o meno tribolate dei candidati presenti alle prime selezioni di sessant’anni fa prevale il bisogno di rinunciare a tutto. Molti di loro sono operai e dattilografe, impiegati e commesse che, già prima di conoscere l’esito della prova, si licenziano dal vecchio impiego. Chi riesce a convincere una commissione di maestri, intraprende corsi di educazione fisica con Jacques Leqoq, di dizione poetica con Giorgio Strehler, ma anche di Storia del Teatro, della Cultura Poetica e Drammatica, della Musica e del Canto. Sono anni di borse di studio offerte dai colossi Pirelli e Garzanti almeno fino al 1954, quando termina la prima direzione di Paolo Grassi con Roberto Rebora e Ruggero Jacobbi.
Il principio dell’onestà di un mestiere che da allora al 1967, anno in cui l’accademia aderisce al sistema delle scuole civiche milanesi divenendo per tutti “la Civica”, si declina nel diritto alla teatralità come luogo di formazione responsabile. Un’avventura alta che nasce e prosegue, anche dopo la fondazione nel 1986 della Scuola del Piccolo Teatro, con l’unicità di educare il respiro di tutti i futuri mestieri scenici sotto lo stesso tetto. Drammaturghi come chi scrive, accanto a registi, attori, danzatori-coreografi, operatori dello spettacolo e tecnici di palcoscenico, combaciano nel dipartimento teatrale dell’oggi Fondazione Milano, con tempi di sacrificio e d’applauso senza retoriche. Non lo show televisivo, ma l’intento calzato spesso con fatica anche da vicende alterne di direzione risollevate dalle determinazioni giovanili.
E sono davvero tante le voci dello spettacolo italiano passate attraverso questa stessa storia: attori, tra gli altri Antonio Albanese, Giuseppe Battiston, Fabrizio Bentivoglio, Claudio Bisio, Franco Branciaroli, Paolo Rossi, Bebo Storti; tra i registi, Gabriele Salvatores, Piero Maccarinelli, Massimo Navone (attuale direttore della scuola), Andrée Ruth Shammah, Giampiero Solari; tra i drammaturghi, Edoardo Erba, Carlo Gabardini, Renato Gabrielli, Angelo Longoni.
Nella “fabbrica dei nuovi attori” non sono però cambiati quegli occhi accesi di cui ha scritto Enzo Di Guida nel ’53, non si è perso un dispotismo utile a «scaldare le parole che si dicono». Quel che allora si festeggia dopo una lunga vita di 60 anni e maestranze internazionali che alla Grassi hanno insegnato o semplicemente condiviso un incontro formativo anche di tirocinio post-diploma – tra loro Heiner Müller, Pina Bausch, Tadeusz Kantor, Thierry Salmon, Jean-Claude Carriere, Luca Ronconi, Mario Martone, Carlo Cecchi e Massimo Castri – è proprio una scelta di poetiche, una schietta adesione personale a un linguaggio che si evolve al passo con l’istruzione delle tecniche.
Oggi si continua a pungerne la memoria con la pratica di palcoscenico, perché la voce di un regista, giornalista, direttore, sovrintendente, impresario e uomo di teatro non smetta di tuonare dalle pagine dell’Avanti: «Noi vorremmo che autorità e giunte comunali, partiti e artisti si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco, e che, per questo preziosissimo servizio nato per la collettività, la collettività attuasse quei provvedimenti atti a strappare il teatro all’attuale disagio economico e al presente monopolio di un pubblico, ridonandolo alla sua vera, antica essenza e alle sue larghe funzioni».
Adesso possono davvero aprirsi le danze: lunedì 30 in Via Salasco, 4 dalle 19.00 la ex Civica riaccoglierà in una serata a inviti docenti, ex allievi, allievi e amici per letture, video e ricordi. Contemporaneamente verrà inaugurata una mostra dedicata ai primi anni di vita dell’accademia con l’esposizione di giornali, documenti e lettere autografe. Che la festa abbia inizio.
Milano Teatro Scuola Paolo Grassi
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Serata a inviti
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