Vi ricordate i misteriosi manifesti comparsi per le strade di Roma che domandavano al passante se per caso conoscesse Eva, Serena, Faruk, Fabrizio o Luciano? In molti, soprattutto su Facebook, si sono arrovellati sul loro significato. Noi avevamo supposto fosse una campagna del Pd per promuovere lo “ius soli”. Sbagliavamo, in effetti, ma di poco.
Si tratta della campagna virale promossa a livello nazionale per sostenere i tesseramenti per il 2012 al Partito Democratico. A svelare l’arcano è Cristiana Alicata, dirigente regionale del Pd laziale. Cristiana però non si limita a squarciare il velo di Maya su una campagna che a Roma ha finito per suscitare più polemiche che curiosità: ieri, dalle pagine di imille.org, la dirigente democratica ha lanciato un “j’accuse” al partito, dal titolo: “L’etica della comunicazione, ovvero la campagna di tesseramento del PD Nazionale”.
Cristiana Alicata, dirigente del Pd Lazio
Cosa contesta al Pd? «Di aver tappezzato Roma di manifesti abusivi», spiega, furibonda, Cristiana Alicata, raggiunta telefonicamente da Linkiesta. «Non è certo il fatto che non si siano curati di avvertire un dirigente regionale come me a farmi imbestialire. Soprattutto perché si trattava di una campagna teaser, che cioè doveva per forza restare avvolta nel mistero. La vera questione sono i manifesti abusivi: a Roma siamo dilaniati dai manifesti abusivi».
Cristiana non riesce proprio a mandarlo giù: «Un conto se li fanno i singoli eletti, che si possono permettere di spendere un sacco di soldi imbrattando i muri della città, e che ognuno di noi singolarmente combatte. Un altro conto è se lo fa il partito nazionale, soprattutto per promuovere il tesseramento. Si presuppone che un partito di sinistra voglia presentarsi come un partito trasparente, per la legalità, contro l’evasione, e invece fa i manifesti abusivi, che evadono persino la tassa comunale. È un ossimoro etico».
Cristiana racconta che, nonostante le sue pressanti richieste, gli autori materiali della campagna non hanno voluto farsi avanti: «Prima di uscire pubblicamente con il mio articolo ho chiesto informazioni alla dirigenza, ma nessuno mi ha voluto dire nulla. Solo dopo infinite richieste ho trovato qualcuno che mi ha confessato che si trattava della campagna nazionale per il tesseramento del Pd. Ovviamente non posso dire chi è, altrimenti credo perderebbe il posto. Ho ritenuto però corretto renderlo pubblico, perché quando succedono queste cose giustamente la gente se la prende con noi: “Tu sei del Pd, sei dirigente regionale, fate schifo”. Ma personalmente non voglio essere complice di questo, non avrei mai autorizzato nulla del genere, e me ne dissocio completamente».
E dopo il post al vetriolo, quali reazioni dalla segreteria centrale? «Nessuna, solo il silenzio più totale. Se avessi preso una cantonata, qualcuno mi avrebbe dovuto smentire. O, per lo meno, correggermi. Secondo me, invece, stanno cercando di capire come uscirne, e sperano che la cosa faccia meno rumore possibile. “Tanto quella chi se la fila?”, penseranno».
Invece Cristiana vuole farsi sentire: «Nel Lazio siamo in tanti. Ci sono candidati che hanno deciso di non fare manifesti e resteranno coerenti a questa decisione. È un modo di fare politica diverso. Vorrei che tutto il mio partito cominciasse a fare politica in modo diverso».
Sulla scelta “stilistica” dei manifesti non commenta: «Non voglio neanche entrare nel messaggio che hanno comunicato. Faccio il responsabile commerciale nel gruppo Fiat, un’alta scuola marketing, e lavoro a fianco delle più grandi agenzie italiane, quindi qualcosa ne capisco. Ma non mi interessa commentare la campagna: è una cosa soggettiva. Dico solo che non ha alcun senso fare manifesti abusivi, e non ha senso nemmeno fare manifesti per promuovere una pagina Facebook. È un’assurdità».
Tra l’altro, sottolinea, la campagna teaser non è nemmeno riuscita a riscuotere il successo sperato sul social network. «Prova ne sia che nonostante abbiano tappezzato la città con ben due giri di manifesti, dopo due settimane la pagina ha appena 280 like. Almeno, dico io, avessero ottenuto qualcosa di positivo. Nemmeno quello. A Roma in questi casi si dice: “Allora sei proprio ’na pippa”».