La classifica degli anti-Jobs, i peggiori manager al mondo

La classifica degli anti-Jobs, i peggiori manager al mondo

Sbagliano, falliscono, mettono in ginocchio aziende e famiglie e spesso vanno via con generose buone uscite. In Italia ci siamo abituati, in Europa vige una certa indulgenza. Negli Stati Uniti amministratori delegati incapaci o in malafede stanno diventano i cattivi esempi da tenere a memori, in particolare nelle università che formano i futuri leader.

Sono cinque gli amministratori delegati di importanti multinazionali, che, nel 2011 secondo il professor Sidney Finkelstein, docente di strategia e di leadership alla Tuck School of Business di Dartmouth College in New Hampshire, hanno meritato la maglia nera della pessima amministrazione. Si tratta di Mike Lazaridis e Jim Balsillie, il tandem che ha guidato fino al 22 gennaio la Rim, società che produce il Blackberry, Leo Apotheker, ex-amministratore delegato di Hewlett Packard, Reed Hastings, cofondatore e Ceo di Netflix, società leader nei video on demand e William Weldon di Johnson & Johnson.

Il professor Finkelstein li ha inclusi in una black list, ne ha analizzato i comportamenti, i passi falsi, le bugie, l’impreparazione, li ha indicati come monito al mercato americano. Mai più gli stessi errori, mai più le sontuose buone uscite che le società hanno sborsato per loro dimissioni, che oggi stanno provocando numerose class action da parte degli azionisti dei loro gruppi finanziari.

Un esempio anche per l’Europa? Sidney Finkelstein, tra i World’s Top 25 Leadership Gurus, non se lo fa certo ripetere più di una volta: Oswald Gruebel, ex amministratore delegato di Ubs, che si è dimesso dopo che è stata svelata la truffa da 2,3 miliardi di dollari ai danni della banca, opera di un dipendente della City di Londra. Gli Stati Uniti, che si colpevolizzano per non aver fatto buon uso della memoria per aver dimenticato le origini storiche della crisi del 1929, sono rappresentati da quei docenti che, nelle migliori università del paese, stanno rivoluzionando i corsi di studio sul business, la governance, il settore pubblico, la finanza e l’innovazione. E, se fino a ieri si studiavano comportamenti e strategie, oggi coloro ai quali «il potere aveva dato talmente alla testa tanto da credere di saperne più di ogni altra persona», sono diventati sensibili casi di studio.

Il seguitissimo The Syd Blog – nel conservatore Stato del New Hampshire – non indugia nell’etica del management, nell’innovazione sostenibile e va dritto al punto e sta avendo molti seguaci senza una precisa connotazione ideologica. Se gli Stati Uniti devono rialzarsi e riprendere la leadership bisogna capire cosa non ha funzionato e chi ne ha la responsabilità. E il professor Finkelstein, non fa sconti a nessuno, nemmeno a chi ha staccato un assegno di un milione di dollari per la campagna di raccolta a sostegno della ricerca e della didattica, proprio a Tuck business school, direttamente firmato da John Costas, ai tempi chief executive di Ubs.

Se questo riguarda l’Europa? «Certo», risponde Finkelstein in una giornata di neve da Hannover: «Gli europei, e gli italiani in particolare, non devono dimenticare l’esempio di Jon Corzine un risk taker di particolare efferatezza, capo di Mf Global Holding». Proprio le scommesse effettuate e perse, da Mf Global, sul debito sovrano europeo hanno portato la società alla bancarotta. Tra il denaro perso circa 3 miliardi interesserebbero, pare, direttamente il debito sovrano italiano.

Colpevoli di una sfrenata concorrenza tra loro sono i due ex-ceo di Rim, Lazaridis e Balsillie, che pare abbiano litigato su tutto, incapaci di rinnovare il proprio prodotto – il Blackberry – nonostante avversari come iPhone e Android abbiano sorpassato di gran lunga il telefono di Research In Motion. Un vero irresponsabile pare sia stato Leo Apotheker, ex amministratore delegato di Hewlett Packard, che per la sua indecisione ha prima annunciato di voler abbandonare il business dei personal computer Hp, poi lo ha ripreso per i capelli, non contento ha cambiato ancora idea creando un nuovo tablet, in seguito abbandonato ancora. Durante la sua gestione, l’azienda ha perso il 45% del proprio valore in borsa e dopo i suoi 11 mesi si lavoro è andato via con più di 35 milioni di dollari fra bonus, stipendio e buona uscita. Debolezza, e poca capacità di comunicare all’interno e all’esterno dell’azienda per Reed Hastings di Netflix, che ha seguito alla lettera la lezione dei manuali di strategia: «Dividere la società in due per proteggere il nuovo business in fase di decollo. Ma in questo caso, è stato un disastro», spiega Finkelstein.

Il giudizio più severo per un amministratore delegato ancora in carica, alla guida di Johnson & Johnson, William Weldon. Ovvero, secondo Finkelstein, «la negligenza rispetto alla sicurezza dei prodotti». «Rimane nel suo ufficio nonostante un incredibile collezione di prodotti ritirati da tutti gli angoli del mondo – sostiene Finkelstein – fiale di insulina, siringhe, protesi d’anca, suture, lenti a contatto, Tylenol, Benadryl, Rolaids e l’elenco potrebbe continuare. E che gli europei non si dimentichino della malafede di Oswald J. Grübel, l’ex Ceo di Ubs che ha mantenuto il silenzio sul proprio futuro all’indomani dello scandalo su una malversazione di 2,3 miliardi». Per questa truffa è stato arrestato a Londra, Kweku Adoboli, 31 anni, ghanese.

I britannici? Sembrerebbero più indulgenti: Stephen Hester, il numero uno di Royal Bank of Scotland, rimane al suo posto. È stato arruolato per evitare il fallimento e ha giustificato il suo indugiare nei piani alti del gruppo bancario ripentendo che la strada della ripresa è ancora lunga, anche dopo il pesantissimo piano di ridimensionamento occupazionale: 28mila lavoratori lasciati a casa. La “punizione”? Gli hanno dimezzato il bonus annuale, però oltre allo stipendio nel 2011 ha ricevuto più di un milione di euro. «Da tenere d’occhio», esorta Finkelstein, mentre nel suo Syd blog si appresta a scrivere un altro post sul fallimento della Kodak, e i cattivi manager che si sono mossi maldestramente. Gli studenti di business, suoi follower attendono in rete la lezione. 

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club