«La Grecia è insolvente». Questa frase si può leggere fin dalla prima delle quattordici pagine che compongono il report Debt Restructuring: Ramifications for the Euro Area, pubblicato nel giugno 2011 e scritto da Anne Sibert, capo del dipartimento economico del Birkbeck College. Quello che stupisce è il richiedente: il Parlamento europeo. Un mese prima dell’approvazione del secondo piano di salvataggio, quindi, Bruxelles era a conoscenza di cosa sarebbe successo. Il documento della Sibert, infatti, lascia poco spazio all’ottimismo e critica aspramente l’Ue. «Nonostante l’insistenza dei membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea e dei politici europei ad affermare il contrario», spiega l’economista, la Grecia fallirà prima del 2013. Ma non solo. Il paper anticipa anche il Consiglio europeo del 21 luglio, quando fu introdotto il Private sector involvement (Psi), cioè il coinvolgimento diretto dei creditori privati nella ristrutturazione del debito ellenico. Proprio quello su cui ora si è arenata la discussione fra banche e governo di Lucas Papademos.
Ristrutturazione del debito, problemi legali, effetti della bancarotta sul commercio europeo, contagio bancario. L’analisi è tanto lucida quanto anticipatrice. La Sibert, senza mezzi termini, spiega cosa succederà alla Grecia. E lo fa nei minimi dettagli, cercando anche di spiegare in che modo l’Europa potrebbe mettere in piedi un sistema difensivo. Dato che è insolvente, Atene dovrà dichiarare default, quindi bancarotta, prima che il fondo salva-Stati permanente European stability mechanism (Esm) entri in funzione. Il riferimento della Sibert all’Esm è ancora quello originario, il 2013, ma come abbiamo visto negli ultimi sei mesi, Bruxelles ha anticipato i tempi di un anno, dichiarando di voler attivare l’Esm nel luglio 2012. La domanda legittima è, leggendo tale documento, solo una: come mai non hanno dato ascolto alla Sibert?
Il testo dell’economista, insieme a tanti paper dello stesso tenore, è stato presentato durante un’audizione dell’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, al Parlamento europeo. Era il 30 giugno 2011, un mese prima del secondo bailout di Atene. Più volte Trichet spiega che bisogna evitare il default della Grecia, sia completo sia selettivo. Eppure, il banchiere centrale francese di fronte a lui ha diversi economisti, i cui servigi sono stati espressamente richiesti dal Parlamento europeo, che gli stanno rammentando che per Atene non si può più fare nulla. Passano le settimane, peggiora la situazione e arriva l’introduzione del Psi. In questo modo, l’Ue vuole condividere con i creditori privati, cioè banche e fondi d’investimento, le perdite di un’eventuale default di Atene. La prima idea è quella di applicare un haircut, cioè una svalutazione sul valore nominale dei bond detenuti in portafoglio, del 21 per cento. Eppure, all’opinione pubblica si continua a smentire questa ipotesi. «La Grecia non fallirà», ribadisce con forza il numero uno dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker a più riprese. La situazione però non migliora. Anzi, si avvita sempre di più.
Il 21 ottobre, durante l’ennesima missione del Fondo monetario internazionale, i tecnici ribadiscono cosa succederà. La Debt sustainability analysis (Dsa) non lascia spazio a interpretazioni differenti. Il debito greco, circa 365 miliardi di euro, ha già superato quota 165% del Prodotto interno lordo e senza una piena adozione del programma del Fmi potrebbe superare il 186% nel 2013. Ai creditori privati, capitanati dall’Institute of international finance (Iif), si richiede uno sforzo maggiore, un haircut del 50 per cento. Solo in questo modo, spiegano i funzionari del Fmi, si può pensare che il debito ellenico possa tornare sotto quota 120% del Pil sul finale del 2020. In alternativa, si può applicare un haircut del 60%, che porterebbe il rapporto debito/Pil al 110% nello stesso periodo temporale.
Sia la Bce sia l’Ue sapevano da tempo in che situazione versava la Grecia. Addirittura, andando a ritroso, la prima volta che la Sibert disse la sua su Atene, sempre su richiesta del Parlamento europeo, era il 5 giugno 2010. «La Grecia è probabilmente insolvente, bisogna fare di tutto per evitare il contagio e bisogna agire velocemente, senza paura di spiegare con chiarezza la situazione», scrisse in un paper che ancora si può trovare negli archivi del Parlamento Ue. Eppure, anche in quel caso, l’Ue non fece nulla.
Atene ora si trova vicina al baratro. La Commissione europea, insieme al Fmi e alla Bce, ha mandato i suoi tecnici in Grecia per cercare di trovare una soluzione a ciò che molto probabilmente succederà. Il prossimo 20 marzo scade infatti un bond ellenico del valore di 14,4 miliardi di euro. Deve essere rimborsato e, stando alle cifre della Dsa del Fmi, nelle case del Tesoro a ottobre c’erano 11 miliardi di euro. Troppo pochi per rimborsare la propria obbligazione. A peggiorare la situazione c’è lo stallo delle trattative fra Iif e governo. Oggi riprenderà il tavolo dopo una pausa di riflessione durata 4 giorni. Il timore è che sul piatto non ci sia il come evitare il default, ma il come contenerlo.
Leggi il documento richiesto dal Parlamento Ue in giugno sulla Grecia: