CineteatroraL’inganno della modestia

L’inganno della modestia

Da sempre il dibattito sull’immateriale anima la pittura dell’Umanesimo e restituisce il male dell’essere prematuramente sciolti da vincoli, di usufruire a piene mani di un libero arbitrio che presto si tramuta in dannazione. Lungo questa strada, pronta a veder moltiplicarsi i peccati secondo le ere, Rafael Spregelburd, attore, drammaturgo e traduttore argentino classe 1970, traveste i sette vizi del celebre dipinto di Hieronymus Bosch in Eptalogia, un’opera teatrale di sette copioni brevi. E così i quattro medaglioni che nella tela olandese giravano attorno al tondo centrale, con la rappresentazione degli spicchi di vizio, si incarnano in personaggi afflitti da trame di sperdimento.

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Pubblicata in Italia per i tipi di Ubu, Eptalogia racchiude la più urticante e inesorabile nevrosi di sgretolamento etico cui ci si autocondanna continuando a riprodurre versioni del proprio abbaglio, abbrutimento o falsa apparenza. In maniera più sensibile, il testo scelto da Luca Ronconi per il debutto al Piccolo Teatro, dopo Spoleto e Cividale del Friuli, si compone di una messinscena senza altre messe a nudo, se non la perdita stessa di una permanenza di luoghi, tempi e identità. La modestia intesa come aspirazione, smania, o più avidamente ossessione verso un fine che mai si realizza, un mostrarsi inferiori alla propria indole per tendere al bene supremo e incassare invece delusioni per effetto di brutali smentite.

Ci si addentra in un unico spazio suddiviso in due momenti: un tempo d’oggi e uno trascorso, un unico luogo mutante, che rinnova la cifra ronconiana di cambi sottolineati da poltrone e credenze che scivolano nell’oppressione imperante. E tra loro quattro attori eccellenti: Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon e Fausto Russo Alesi, che fanno la parte del doppio. Si caricano di un secondo ruolo e di una seconda storia, enigmatica e inconcludente nel suo riassunto proprio per quel saliscendi sempre più ambiguo nel gioco delle parti. Ciascuno vive cioè un dinamismo visionario quanto la pittura di Bosch e infine lo spiazzamento contemporaneo, calcato di Spregelburd che sveste e riveste presunte identità.
Alle spalle, come negli occhi più volte sbarrati, in una prova complessa che muta esclusivamente di segno mimico e verbale senza prevedere altri costumi, sfila l’intento registico che rende quasi meccanico lo scarto dall’una all’altra coppia. Una sequenza di evidenti riflessi, non tanto uguaglianze, ma richiami per asimmetria delle vite e aspirazioni: da un lato, un salotto borghese e argentino che si consuma tra nastri proibiti e complotti, dall’altro, un interno slavo coi tuoni della guerra e le aspirazioni di un medico fallito che vorrebbe arricchirsi con il falso talento di uno scrittore agonizzante.

Ogni caduta è presto un riflesso concentrico, una riproduzione a catena dell’eccesso di modestia o del crollo di una fissità regolare per smania di fuga e tensione a una moralità che non potrà mai essere meno convenzionale e precaria. Un vuoto a perdere dotato di un realismo esasperato e per questo allo stesso tempo innaturale e necessario: la pistola puntata della prima scena con l’equivoco dell’attesa, le lungaggini del passaggio del fumo nell’unico quadro divertito, le dichiarazioni d’amore sofferte e il punto di vista su una letteratura intesa come lusso concesso per far stare meglio gli altri, conducono all’inevitabile abbattimento pezzo dopo pezzo della scenografia.
Si serrano e riducono così gli sforzi di trovare una patria e una corrispondenza vera d’affetti, mentre le pause e i puntelli dei corpi prima rigidi e poi rovesciati dentro la fine sembrano riassumere registicamente quell’abbandono lento di una nostalgia di cui scrive Spregelburd. Non una rinuncia alla vita, ma piuttosto l’esibizione della sua straripanza o nascondiglio, senza mai la libertà effettiva di una misura che salvi. Di un apice vero dove recuperare armonie, senza avvistare contraddizioni. E certo la bravura degli attori e il gesto fermo, algido per il risalto dato agli estremi da Ronconi, ben si adattano all’ispirazione teorico-matematica del drammaturgo argentino. Si affianca il bisogno di lasciare al pubblico l’istinto di comprendere prima e poi prendere parte a tutti i cambi, nella distanza dialettica e ironica da quella stessa pittura olandese che vedeva nell’emulazione dei santi la via del risanamento.

La modestia
di Rafael Spregelburd

regia Luca Ronconi
traduzione Manuela Cherubini
impianto scenico Marco Rossi
luci A.J. Weissbard
con Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi
Coprodotto da Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa,
Fondazione Festival dei Due Mondi di Spoleto, Associazione Mittelfest
su progetto di Santacristina Centro Teatrale
Foto di scena Luigi Laselva

Piccolo Teatro Grassi
via Rovello 2, Milano – M1 Cordusio
dal 10 gennaio al 5 febbraio 2012

Orari: martedì e sabato ore 19.30; mercoledì, giovedì e venerdì ore 20.30; domenica ore 16.00. Lunedì riposo.
Giovedì 19 gennaio ore 15.
Durata: 2 ore e 45 minuti senza intervallo
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro – Prezzi speciali su www.piccolocard.it
Informazioni e prenotazioni 848800304 – www.piccoloteatro.org

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