«Vogliamo che il simbolo della Lega Nord torni a essere quello del 1991». Parola di un barbaro sognante fan di Roberto Maroni, fondatore di un gruppo ad hoc su Facebook per smuovere le coscienze dei leghisti in questi giorni di aspra battaglia dentro al Carroccio. La foto dei leader sorridenti che brindano tutti assieme con i bicchieri di plastica sulla prima pagina de La Padania non riesce a nascondere le fratture. Marco Reguzzoni ha dovuto cedere il posto di capogruppo alla Camera (a Giampaolo Dozzo), dopo una battaglia durata per mesi. E dopo tutte le frazioni tra cerchio magico e maroniani non poteva mancare l’annosa polemica sul marchio lumbard per gettare un altro po’ di sale sulle ferite aperte.
Il vecchio simbolo della Lega su uno striscione esposto il 15 e 16 febbraio 1992 a Pontida
La vicenda del simbolo padano, infatti, è alquanto spinosa. O almeno «misteriosa» come l’ha definita Paolo Bracalini, giornalista del Giornale, legologo, nel suo ultimo libro Partiti Spa, editore Ponte alle Grazie. Non è solo una questione di marketing elettorale: ora c’è un Alberto Da Giussano in blu con sotto la scritta Bossi mentre quello di inizio anni ’90 aveva un guerriero stilizzato con lo sfondo della pianura padana e la scritta Lega Nord in alto. La storia s’interseca con le dichiarazioni fatte in questi anni da diversi ex leghisti, tra cui Leonardo Facco e Rosanna Sapori. Entrambi hanno sostenuto in libri e interviste che il leader Umberto Bossi avrebbe venduto il simbolo padano (e tutta la Lega) a Silvio Berlusconi. In cambio, il Senatùr avrebbe saldato una montagna di debiti del movimento, garantendo al Cavaliere un’alleanza di governo inossidabile. Insomma, la richiesta dei maroniani di tornare al simbolo delle origini potrebbe rappresentare un nuovo capitolo dello scontro con il cerchio magico bossiano e fondare quella nuova «Lega delle origini». Oppure, più semplicemente, sarebbe il modo di impadronirsi di un simbolo che nessuno è riuscito ancora a capire a chi appartiene. O meglio, nel Carroccio sostengono che sarebbe di proprietà «di tre persone, con un 33 per cento a testa: Umberto Bossi, Manuela Marrone (moglie del capo) e Giuseppe Leoni, storico leghista della prima ora». In pratica, i pezzi grossi del cda di Gemonio.
Nel libro Bracalini ha spiegato che, «a parte il Sole delle Alpi e Miss Padania di proprietà del movimento», «non risulta una registrazione del marchio “Lega Nord”, né come dicitura né come simbolo, in nessun archivio. Non in quello delle camere di commercio nazionali, non in quello comunitario e neppure in quello internazionale. Se si effettua una ricerca per nome del proprietario, con “Umberto Bossi” non esce alcun risultato». Storia singolare. Anche perché «La normativa tutela il marchio di fatto», ha riferito un dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico, che si occupa dei brevetti e dei marchi «in caso di controversia il titolare dovrà provare al giudice che il diritto all’uso è suo, ma non potrà certamente far presente alcuna documentazione in merito al marchio depositato o e registrato o rinnovato se non è stato mai effettuato il relativo deposito». L’unica registrazione che si avvicina alla tutela del marchio Lega Nord, infatti, risalirebbe al 1992. È il simbolo della «Lega Lombarda», così descritto nel fascicolo: «Consiste nella scritta Lega Lombarda, Lega Nord in cerchio attorno all’immagine di un guerriero in specie Alberto da Giussano sovrapposta all’Italia settentrionale». Questo è il simbolo che i barbari sognanti chiedono a gran voce. Quello dello storico congresso di Pieve Emanuele del 1991. Ma a chi appartiene ? «Bossi? Maroni? Calderoli?», ha registrato Bracalini nel suo libro. «No, dalla Acba Srl di Sesto san Giovanni – medaglie e distintivi, produzione e ingrosso». Un comune venditore di chincaglierie dell’hinterland milanese.
Il manifesto dello storico 1° congresso della Lega Nord di Pieve Emanuele (1991)
Via Bellerio, sede del Carroccio, è un porto delle nebbie se qualcuno accenna la questione. Sono telefoni sbattuti in faccia o smorfie di disapprovazione. Figuriamoci in questa fase così concitata per il movimento e per la situazione a livello di governo. Sotto il governo Monti, con uno all’opposizione e l’altro in maggioranza, l’asse del Nord ha incominciato a traballare. Eppure le voci su questa autonomia solo “sulla carta” del Carroccio sono rimaste. In particolare dopo il voto sull’arresto di Nicola Cosentino a Montecitorio. Lo ha ribadito pure il segretario del Pd Pierluigi Bersani durante l’assemblea dei democratici. «La maggioranza non c’è più ma la complicità è rimasta. La Lega non ha più autonomia. È al rimorchio del miliardario».
Bobo Maroni, che in questi mesi si è spesso smarcato dal Cavaliere, sta forse pensando di risolvere questa bega notarile? La cosa non è di poco conto. Anzi, cerchio magico a parte, potrebbe rappresentare le fondamenta per la nascita della nuova Lega targata Maroni. Del resto, l’articolo 3 dello statuto del partito descrive precisamente il simbolo in questo modo: «Un cerchio con all’interno il Sole delle Alpi, rappresentato da sei petali disposti all’interno di un secondo cerchio e la figura di Alberto da Giussano, così come rappresentato nel monumento di Legnano; sullo scudo è disegnata la figura del leone alato con spada e libro chiuso, nella parte inferiore è la parola Padania; il tutto contornato, nella parte superiore, dalla scritta Lega Nord». Sempre nello statuto si precisa che «tutti i simboli usati nel tempo dal Movimento o dai movimenti in esso confluiti, o che in esso confluiranno, anche se non più utilizzati, o modificati, o sostituiti, fanno parte del patrimonio della Lega Nord». Ma allora perché qualcuno sta pensando di riprendersi il vecchio simbolo?