Per esistere l’Europa ha bisogno che Berlino scelga

Per esistere l’Europa ha bisogno che Berlino scelga

L’Europa continua a essere senza una bussola. È vero, i tassi d’interesse stanno calando. Ma i pericoli non sono passati. Anzi. Ancora oggi il Fondo monetario internazionale, per voce del suo direttore generale Christine Lagarde, ha invocato la nascita di una struttura di contenimento della crisi dell’eurozona. «Non importa come, ma fate qualcosa», sembrava urlare l’ex ministro francese delle Finanze. Non ha torto. Il tempo è già finito, infatti. Se si perde anche il 2012 nello stesso modo in cui si è lasciato andare via il 2011, il contagio della crisi europea dei debiti sovrani potrebbe irrimediabilmente arrivare anche alle economie emergenti. E dato che, complice il massimalismo della Germania, è probabile che anche quest’anno sarà gettato alle ortiche, è meglio iniziare a pensare a soluzioni alternative, comprese quelle più estreme.

Oggi doveva essere il giorno della Grecia. Dopo una serie infinita di trattative sulla ristrutturazione del debito ellenico fra la lobby bancaria, l’Institute of international finance (Iif), e il governo greco, si è arrivati all’ultimo stallo. Da un lato l’esecutivo di Lucas Papademos ha detto che non è disposto a concessioni ulteriori verso i creditori privati. Dall’altro, questi non vogliono accettare di essere gli unici a pagare per un fallimento di fatto, mascherato da salvataggio internazionale. Entro il 13 febbraio, spiega il Tesoro greco, arriverà l’ultima proposta sul tavolo dell’Iif. Poi, in caso di non accettazione, l’unica via sarà quella del fallimento. L’impressione, tuttavia, è che sia l’ennesimo braccio di ferro in una partita che è durata fin troppo. Sono due anni che Atene tiene con il fiato sospeso l’eurozona, che politicamente non può accettare di far fallire uno dei propri membri.

In Europa, nonostante i meeting a ripetizione, non si trova una soluzione sostenibile. Eppure, molto è già stato fatto. La Banca centrale europea di Mario Draghi ha messo in campo l’artiglieria pesante tramite l’operazione di rifinanziamento a lungo termine (Long term refinancing operation, o Ltro) dello scorso dicembre. Con quasi 490 miliardi di euro forniti a un sistema interbancario ormai congelato dalla sfiducia, ha dato la possibilità alle banche dell’eurozona di avere un appoggio straordinario. L’operazione sarà ripetuta a febbraio e dovrà servire, almeno nelle idee di Francoforte, a ridare ossigeno al mondo creditizio europeo, ormai in pieno credit crunch.

Oltre alla Bce, anche il Fondo monetario internazionale sta facendo pressioni sull’Europa affinché riesca a contenere una crisi che rischia di essere devastante per l’intera economia globale. Nell’ultimo Global Financial Stability Report (Gfsr), che sarà pubblicato domani, con ogni probabilità l’istituzione di Washington ricorderà per l’ennesima volta che Bruxelles deve mettere da parte il suo fare bizantino per adottare misure straordinarie. O la vita o la morte. E né l’una né l’altra si possono fare con i meeting, con le riunioni ora decise, poi rinviate senza una chiara ragione, come è successo per il summit bilaterale Italia-Francia che doveva tenersi il 20 gennaio.

Quello che è chiaro è che, con questa struttura, l’eurozona non ha senso di esistere. Lo squilibrio di poteri fra la periferia e il cuore della zona euro continua a essere evidente e l’orgoglio della Germania sta rischiando di essere il detonatore del collasso totale. Italia e Spagna, secondo il Fmi, vivranno un 2012 all’insegna della recessione. E sebbene i rendimenti sui titoli di Stato siano calati rispetto ai massimi, la soglia di sostenibilità potrebbe essere ulteriormente rivista al ribasso. Colpa delle misure di austerity che il governo di Mario Monti e quello di Mariano Rajoy hanno dovuto approvare. Il vero nodo è che i politici europei devono rendersi conto, come già fatto da Bce e Fmi, che la caduta di Roma o Madrid si tradurrebbe nella fine stessa del concetto di Europa. Perfino la più semplicistica analisi costi/benefici della situazione dell’eurozona vede come impossibile l’esistenza di un’Europa senza Italia o Spagna. Il rischio è che, in caso l’oltranzismo della Germania vada avanti ancora per molto, gli investitori perdano del tutto la pazienza verso l’euro. E non sarebbe un “attacco speculativo”.

Cosa fare quindi, razionalmente? Mettere da parte i nazionalismi, i giochi di potere in vista delle tornate elettorali di Francia e Germania, il tutto in vista dell’applicazione del concetto più basilare dell’Europa, la completa unione. Questa è la via, dirà qualcuno, ma i fatti evidenziano che la Germania non vuole una banca centrale in grado di agire come prestatore di ultima istanza, sul modello della Federal Reserve statunitense. La Germania, ma anche la Finlandia e l’Olanda, non vogliono gli eurobond, perché non hanno intenzione di contribuire a una mutualizzazione dei debiti dei Paesi più deboli. Eppure, a oggi tutto questo è destinato a restare un sogno.

La realtà potrebbe quindi costringere a prendere soluzioni impopolari. La creazione di due differenti aree macroeconomiche, un euro nord e un euro sud, pur mantenendo invariata la struttura europea, potrebbe essere devastante nel breve termine, ma risolutivo nel lungo. Del resto, un euro fatto di bugie, sotterfugi, trucchi contabili e continue divisioni rischia di collassare a dieci anni dalla sua creazione. Per fare ciò occorrono anni e sacrifici, ma serve soprattutto la consapevolezza che questo modello non può andare avanti così. Una presa di coscienza che la Germania forse non ha adesso, ma che sentirà fin troppo bene quando il contagio arriverà anche da lei. Sperando che non sarà troppo tardi. La storia infinita legata alla ristrutturazione del debito della Grecia dovrebbe essere l’esempio da evitare. Ma siamo sicuri che ci sia la volontà politica per farlo? 

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Twitter: @FGoria

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