CineteatroraRiapre la Gnam di Roma, un percorso da Klimt a Fontana

Riapre la Gnam di Roma, un percorso da Klimt a Fontana

Oltre il proprio riflesso esistono diramazioni che suggeriscono come muoversi e cosa scegliere. Questo forse il proposito del pavimento di specchi di Alfredo Pirri che introduce al nuovo allestimento della Galleria Nazionale dʼArte Moderna di Roma, riaperta il 21 dicembre scorso dopo due mesi di sospensione. Una distesa di crepe vitree con al centro una statua di Canova dà la misura di come qui il terreno sia fertile per decidere autonomamente dove dirigersi, pur con lʼaffidamento a parole chiave, movimenti e commistioni. Sessanta giorni di fermo sono serviti a riannodare i fili delle epoche, dei manifesti solitari e collettivi che hanno affrontato il tema della libertà sociale, ma anche delle icone allʼapparenza più formali eppure vitali ai percorsi storici dellʼarte degli ultimi duecento anni.

Mettervi piede è allora più indispensabile di un anno fa quando visitare la Gnam significava addentrarsi in un accattivante ripasso libresco, ora scalzato da una visione certamente più nitida delle opere disposte seguendo anche i consigli dei visitatori. Si passa così dalle provocazioni delle prime sale con i tagli e i concetti spaziali di Fontana, al quesito posto più volte dalle critiche altisonanti su cosa siano lʼarte e gli anfratti delle contemporaneità, in cui artisti come Vedova e il suo Scontro di situazioni (1959) o i sacchi, i cretti e il Grande rosso (1964) di Burri si divincolano senza aver bisogno di parole.

Non cʼè come attraversare il concetto di mito per comprendere davvero le intersezioni, le stratificazioni o esperienze di viaggio e rovine, lo scambio internazionale con la nascita e il tramonto del Neoclassicismo che fa rivivere la nobiltà di alcuni profili. Il prorompente Ercole e Lica (1795-1815) nel marmo dinamico e sofisticato di Canova sfida non a caso la bellezza più temeraria e già attraversa la cera labile e scapigliata de La Ruffiana (1883) di Medardo Rosso, fino al bronzo de la Donna accovacciata (1885) di Auguste Rodin. Sono svelati, ammessi come possibili i tratti e il criterio della luce impressionista di Degas, Monet verso chi come Cézanne e il suo probabile ultimo dipinto, Le cabanon de Jourdan (1906), va oltre il cardine disegno.

In ogni senso di marcia si sperimenta unʼavanguardia crescente tra le prime questioni sociali di Vincenzo Vela con la fusione in bronzo Le vittime del lavoro (1882), i primi ritratti di Balla e il suo immane Polittico dei viventi (I malati – La pazza – Il mendicante 1902-1905) e le diagonali futuriste dellʼAntigrazioso di Boccioni (1912-13), di poco prossimo al divisionismo di Pellizza da Volpedo che con Il sole (o Il sole nascente – 1904) spezza le reni a qualsiasi previsione luminosa. E prosegue il commento della modernità nella versione simbolista degli angeli di Previati, o più espressionista per effetto di carni femminili ripiegate e magmi dorati dentro Le tre età (1905) di Gustav Klimt.

Ecco che allora, dietro presenze permanenti di artisti che alla Gnam hanno dato il risalto di una necessità storica – penso ad Hayez, Sartorio o allo stesso Canova, ai cicli di esaltazione fascista di certo futurismo secondo Prampolini e Dottori – scorrono tempi di indagine, dibattito e questioni di profondità materica o semplice superficie per poi risalire a ritratti le cui linee sfuggono o si infrangono su rive erose. La femminilità tonante e insieme soffusa del Ritratto di Mademoiselle Lanthelme (1907) di Giovanni Boldini si incaglia nelle tortuosità del volto dellʼArlesiana (1890) di Van Gogh. E quasi non sopravvive distanza sicura tra Solitudine (1925) di Mario Sironi, le figure interiori, metafisiche, di De Chirico e Carrà e Legno bruciato (1958-61), la scultura più tarda e spinta allʼumanizzazione da Pietro Consagra.

Gli incroci da una sala allʼaltra, anche per mezzo di didascalie sommesse e sotto una custodia museale troppo spesso assente, definiscono un orientamento che accoglie anche il blu internazionale di Yves Klein, le anime sottili di Amedeo Modigliani, un bozzetto di imballaggio urbano secondo Christo, senza trascurare il cubismo e gli esperimenti di Schwitters, gli astrattismi di Kandinsky e Mirò. Un tavolo da lavoro che la nuova Gnam colma di monografie accanto a discussioni e donazioni, mostre temporanee e sguardi sul dripping di Pollock e i ritorni di Paladino e Clemente. Semplice libertà e sequenza non caotica di lingue in un crescendo che lascia a chi osserva il merito dellʼanalisi più sfacciatamente soggettiva.

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