Ho messo piede al Quirinale per la prima e ultima volta quando Scalfaro era presidente. Era incuriosito dal nuovo direttore dell’ “Unità” ed io ovviamente da lui. Conversammo per una mezzora e poi mi congedai. Ero entrato pieno di ansie per la statura dell’interlocutore, ne uscii come se avessi incontrato un amico. L’impressione che ne ebbi era, infatti, di un uomo davvero di altri tempi, rigoroso, formale, paterno. Non dico quel che mi disse perché era una conversazione privata su cui non ho scritto né lo farò ora. So che avendolo conosciuto mi resi conto del perché questo vecchio signore abbia trovato la sua stagione più bella in tardissima età e in una collocazione singolare per uno cresciuto come un conservatore cattolico abbastanza determinato.
Scalfaro si affaccia presto alla politica ed inaugura quella tradizione di magistrati impegnati nell’attività pubblica che solo negli ultimi anni è diventato un problema nazionale. Ai suoi tempi non era uno sbocco singolare. Il magistrato era parte dell’establishment e Scalfaro univa questa connotazione con la militanza cattolica che interpretava con particolare chiusura verso il nuovo e il moderno. Per decine di anni il nome di Scalfaro, piemontese fino allo stereotipo, era associato alle correnti di destra democristiane, quelle che si opponevano all’apertura a sinistra, dapprima si socialisti poi ai comunisti. Non è mai stato ai vertici reali della politica. Era, come si direbbe ora, una personalità ingombrante in un partito di personalità molto importanti che però, a differenza di lui, avevano anche forti basi elettorali e clientelari. La sinistra lo vedeva ad un tempo come un suo acerrimo nemico e come un uomo del passato che non passa, emblema di quel moderatismo cattolico che talvolta sfiora lo spirito reazionario. Tuttavia la vita cambia le persone, figurarsi la politica.
La vita di Scalfaro conosce un balzo proprio negli anni in cui molti politici anche quelli di gran carriera, cominciano a pensare al ritiro ovvero ad amministrare il capitale di prestigio per incarichi pubblici senza oneri ma con molti onori. Non era quella la tempra del magistrato novarese, inflessibile fino al punto che in gioventù, raccontano le leggende parlamentari, redarguì, c’è chi dice schiaffeggiò, una signora particolarmente scollata. Così accade che Scalfaro si trovò nel giro di poco tempo posto al vertice della sicurezza dello Stato, come Ministro degli interni, e al vertice della repubblica al Quirinale. I suoi scontri con Cossiga, negli anni in cui il “picconatore” sostituì il se stesso timido e silenzioso inquilino del Quirinale dando vita a una stagione tempestosa, divennero leggendari e questo aprì per Scalfaro una linea di credito nei confronti della sinistra.
D’un colpo, nel nome della Costituzione, antichi steccati vennero abbattuti e l’uomo che era stato isolato e deriso dalla cultura progressista del dopoguerra ne divenne poco alla volta il suo principale interprete. La vicenda presidenziale di Scalfaro è in fondo la sintesi vera della sua vita. Scalfaro si imbatte nella crisi della Prima repubblica e nell’ascesa di Berlusconi. Se il primo evento deve essergli apparso forse inevitabile, visto che un moralista come lui aveva ben presenti le degenerazioni della politica contro cui si era sempre scagliato, il secondo evento era senza dubbio più inquietante. L’uomo d’ordine, interprete, per aver partecipato alla sua stesura, della lettura più rigorosa della Costituzione, messo accanto all’uomo nuovo della politica, irridente verso i vecchi linguaggi e soprattutto insofferente delle regole e delle liturgie istituzionali. Non fu un bell’incontro e dopo andò anche peggio.
La destra accusa Scalfaro di aver lavorato da Presidente della repubblica per scalzarla dal governo. Non c’è dubbio che Scalfaro non ha interpretato il proprio ruolo come quello di un notaio. Lui la politica la conosceva bene, era in grado di muoverne le corde profonde e probabilmente il nuovo inquilino di Palazzo Chigi era inadatto a dialogare con una personalità di questo spessore. Non credo che sia vera la vulgata berlusconiana secondo cui il Presidente della repubblica abbia avuto un ruolo determinate nella prime disavventure del nuovo premier. Non c’è dubbio che Scalfaro non amasse Berlusconi né che vedesse di buon occhio la sua ascesa, però la crisi del primo governo Berlusconi non fu causata da Scalfaro. Berlusconi capottò in parcheggio, come dicono a Roma. Scalfaro ebbe l’abilità di guidare la politica italiana, in un momento difficilissimo, alle nuove elezioni garantendole un periodo di tregua con il governo Dini. Scalfaro è famoso per quel suo “non ci sto” con cui reagì alla campagna stampa sull‘uso illegale dei fondi dei servizi segreti. La sua fu una ribellione verso la prima manifestazione della “macchina del fango” che tendeva a colpirlo proprio su ciò che aveva più a cuore, la propria integrità personale e il rispetto delle istituzioni.
Dicono che abbia fatto troppa politica dal Quirinale. Trovatemi un presidente, prima o dopo di lui, che non l’abbia fatta. Dopo il Quirinale il vecchio Scalfaro di distaccò sempre più dalle sue origini. Fu in prima linea nel combattere il centro-destra e nelle battaglie di bandiera degli antiberlusconiani, ad esempio contro le leggi ad personam e le norme-bavaglio. Capitò a lui quello che era già capitato a un altro grande conservatore, Indro Montanelli. Invecchiando scoprirono di stare più a loro agio accanto alla sinistra. E questa è la più grande sconfitta della destra.