Duecentomila euro di risarcimento a duemila cittadini. Tanto dovranno pagare il ministero dell’Ambiente e della Salute secondo il Tar Lazio. Colpevoli, i due dicasteri, di aver lasciato che i cittadini di Lazio, Toscana, Trentino, Lombardia, Umbria, bevessero acqua contenente arsenico. Il ricorso è stato presentato e vinto dal Codacons che adesso sta affilando le unghie per passare da quella che hanno considerato la “prova generale” alla battaglia vera e propria: un milione di ricorrenti da raccogliere in decine di altre città in tutta Italia.
Per Carlo Rienzi, presidente del Codacons, si «tratta di una vittoria importantissima perché pone termine all’impunità di regioni e ministeri che per non spendere i soldi stanziati o non sapendoli spendere, hanno tenuto la popolazione in condizioni di degrado e di rischio di avvelenamento da arsenico. Ora i singoli presidenti delle regioni e i singoli ministri dell’Ambiente e della Salute succedutisi negli ultimi anni, quando promettevano all’Europa bonifiche delle falde in cambio di aumento dei limiti di presenza del metallo velenoso nelle acque, dovranno essere perseguiti dalla Corte dei Conti per rimborsare l’erario dei soldi che dovranno risarcire agli utenti». Secondo il Tar del Lazio, bere «acqua all’arsenico può produrre tumori al fegato, a cistifellea e pelle, nonchè malattie cardiovascolari».
Questi i fatti. Ma la vera notizia è nascosta tra le righe della motivazione della sentenza. «Fornire servizi insufficienti o difettosi o inquinati – c’è scritto – determina la responsabilità della pubblica amministrazione per danno alla vita di relazione, stress, rischio di danno alla salute».
A ben guardare l’arsenico – benché importante – è solo uno dei problemi che affliggono le nostre malate città. Smog, ciclo dei rifiuti, traffico. Basta anche il rischio di danno alla salute a generare il fondato ricorso al Tar e il riconoscimento del diritto leso. «Ora questa strada – prosegue l’associazione – sarà percorsa anche per chiedere i danni da inquinamento dell’aria e da degrado sia a Napoli sia a Roma e nelle altre grandi città in cui la vivibilità è fortemente pregiudicata dal degrado ambientale».
La prossima tappa, quindi, è il nuovo megaricorso in preparazione: «Si può già aderire – afferma il Codacons – seguendo le istruzioni sul sito www.codacons.it e si agirà, come indica il Tar, anche contro gli Ato di appartenenza per chiedere un ribasso immediato delle tariffe a la restituzione di quelle versate per avere in cambio acqua avvelenata. Il Tar ha riaffermato che l’acqua fornita ai cittadini deve essere salubre e la tariffa legata proprio alla qualità di essa, da cui l’indicazione di agire contro le Ato che non potevano non tenere conto di questo dato nel determinare la tariffa».
Non solo, il Codacons precisa che il Tar si è soffermato su un altro importante principio, ossia «il fatto illecito costituito dall’esposizione degli utenti del servizio idrico ricorrenti ad un fattore di rischio – l’amianto disciolto in acqua oltre i limiti consentiti in deroga dall’Unione Europea -, almeno in parte riconducibile, per entità e tempi di esposizione, alla violazione delle regole di buona amministrazione».
Infatti – precisa anche il tribunale amministrativo – è certa la «pericolosità per la salute umana derivante da un’esposizione prolungata all’arsenico presente nell’acqua potabile, anche in quantità piccolissime, come risultante dalla ricerca condotta su oltre 11.700 persone in Bangladesh e pubblicato nell’edizione online della rivista scientifica The Lancet, che ha dimostrato che la presenza di arsenico in elevate concentrazioni nel sangue aumenta in modo significativo il rischio di tumori. Secondo le stime effettuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, in Bangladesh a partire dagli anni ’70 almeno 35 milioni di persone hanno bevuto acqua contaminata con piccolissime quantità di arsenico, e secondo lo studio Heals (Health Effects of Arsenic Longitudinal Study) coordinato da Habibul Ahsan dell’Università di Chicago, ciò è stato sufficiente a provocare il 21% delle morti per tutte le cause e il 24% di quelle attribuite a malattie croniche (in prevalenza, tumori al fegato, cistifellea e pelle e malattie cardiovascolari)».
Sentenza che aprirà la strada a numerose denunce penali. La vicenda, è solo agli inizi.