La coerenza rispetto a un modello, a una prova elevata e pressoché irraggiungibile spesso condanna la sua ripresa a esiti di inferiorità o addirittura di devastazione completa. Una volta accolta la premessa e non il suo pregiudizio, è possibile assistere a mente sgombra alla messinscena italiana, dopo quella londinese all’Old Vic, di Tutto su mia madre dall’omonima sceneggiatura originale di Pedro Almodóvar. Samuel Adamson ha scritto l’adattamento scenico approvato dal regista de La Mancha e Leo Muscato ne ha firmato la regia muovendosi tra meta-teatralità e scorrimento rapido dei conflitti, scene sobrie e pannelli scenografici astratti.
Una materia del tutto femminile dove il ruolo delle madri tra tragedie di malattia e morte segnate dalle ironie impietose dei destini – Manuela, la protagonista, è infermiera e attrice durante le simulazioni presso il Centro Trapianti di Madrid, lo stesso cui dovrà donare gli organi di Esteban, il figlio diciassettenne rimasto ucciso in un incidente – viene caricato di una veste teatrale che ne trasmette però più l’anima sospesa o divertita che la motivazione e lo snodo drammaturgico a procedere. Se infatti sopravvivono gli stessi ingredienti di scambio gradevole, umanamente in bilico tra riso, rabbia, dolore, segreti, fratture e intrecci con il passato, di quel melodramma almodóvariano da dove tutto nasce sembrano disperdersi gli echi più radicati nelle identità e reciprocità delle madri. La scelta di affidare al figlio morto un ruolo di narratore mutevole e da commento onirico in proscenio risulta efficace nel momento in cui davvero matura un ascolto. Autentica la scena in cui Esteban veste la madre poco prima che assuma il ruolo di Stella nel Tram di Tennessee Williams: si resta sospesi per un attimo tra la bravura consolidata di Elisabetta Pozzi, mentre supera il disagio di una Manuela multiforme, e la freschezza dell’Esteban di Alberto Onofrietti.
Due momenti dello spettacolo tratto dal film di Pedro Almodovar
L’altro puntello che la sceneggiatura e l’adattamento spartiscono è non a caso proprio l’autenticità, lessico ossessivo e mirabile nel monologo del transessuale Agrado, affidato a Eva Robin’s in situazioni da intermezzo. Una scelta che confonde i piani, procura piacevoli reazioni in sala, ma non trova argini abbastanza robusti per riabitare una parte cui è affidata la “leggerezza pensosa”, direbbe Calvino, dell’intera trama. Là dove i corpi e la loro trasformazione fanno da campo di riflesso e paradosso della vita, di quel doppio cui nessuno è davvero immune. E da qui proviene anche la costruzione dolente e feroce della diva Huma Rojo secondo Alvia Reale, che sa dividersi con misura e forza tra i veli del palcoscenico e l’impossibilità di Huma di separarsi da quel successo senza odore né sapore, patendo in più un amore saffico e tormentato.
Da un cambio scena all’altro, mosso e veloce per non tralasciare nulla e riappropriarsi di un ritmo che solo al cinema è vibrante per le riprese da vari fuochi, le dissolvenze e i campi alternati, si indeboliscono gli eventi cardine. La morte del figlio, mentre rincorre Huma per un autografo, si sovrappone al ritorno di Manuela a Barcellona per rintracciare Lola, il padre tossicodipendente e transessuale di Esteban. A fatica si comprende, se non si ha visto il film o letto il copione, il perché del primo incontro burrascoso con Agrado, e da ultimo esce piuttosto sfocata anche la figura di suor Rosa, futura madre del secondo Esteban e non a caso figlia di una rigida falsaria di dipinti.
Se allora la premessa era di osservare senza condizionamenti, tuttavia, l’altezza e il graffio sentimentale della scrittura filmica, con i suoi precisi richiami interni, le ambientazioni urbane, le piazze e case tutt’uno con un’estetica al millimetro calata dentro le storie, s’impongono per contrasto. Un’impronta registica quella di Muscato che si vorrebbe probabilmente più vicina agli interpreti, più carnale e aspra, meno ammorbidita e sboccata, ma sulla stessa linea del finale interessante che riunisce le donne e madri per tracciare il bilancio di quanto resta dopo il funerale di Lola. Prevale invece il rischio di una “leggerezza frivola”, che alla matericità densa di Almodóvar risponde sul filo di un timore reverenziale pur comprensibile.
Teatro Elfo Puccini
Sala Shakespeare dal 21 febbraio al 4 marzo
Tutto su mia madre
testo teatrale di Samuel Adamson*
basato sul film di Pedro Almodóvar
traduzione Giovanni Lombardo Radice
regia Leo Muscato
con Elisabetta Pozzi, Alvia Reale, Eva Robin’s, Paola Di Meglio, Alberto Fasoli
Silvia Giulia Mendola, Giovanna Mangiù, Alberto Onofrietti
scene Antonio Panzuto
costumi Gianluca Falaschi
luci Alessandro Verazzi
suono Daniele D’Angelo
produzione Fondazione Teatro Due – Teatro Stabile del Veneto
*prodotto per la prima volta al The Old Vic Theatre di Londra da Daniel Sparrow, Neal Street Productions, The Old Vic Theatre Company, Dede Harris & DRB Productions
Elfo Puccini, corso Buenos Aires 33 Milano – Feriali 20.30, festivi 16.00 – Info e prenotazioni: tel. 02.0066.06.06, [email protected] – www.elfo.org