Cocacolla.it non si beve ma deve essere salvata. È l’invocazione che in queste ore si sta levando su Twitter in difesa del blog d’arte diffidato dalla Coca-Cola Company dal continuare ad utilizzare quel nome, troppo simile alla bevanda gassata più famosa e pubblicizzata del mondo.
Ma cosa è successo? È quello che provano a raccontare gli stessi creatori del blog, sulla homepage di un dominio che rischia di scomparire molto presto dalla faccia della rete. «Il nostro blog in questi due anni ha avuto talmente successo che è diventato uno dei punti di riferimento per il design e per la street-art», raccontano i fondatori. Il successo però è stato tale, dicono, «che anche la Coca-Cola Company si è accorta di noi e un paio di settimane fa, per mano del loro ufficio legale, ci ha fatto recapitare due lettere di diffida, chiedendoci di ritirare le pratiche avviate per la registrazione del marchio e la cessione nei loro confronti del “nome a dominio” www.cocacolla.it». Il motivo? Secondo i legali della multinazionale, «www.cocacolla.it determina l’insorgere di un grave rischio di confusione per i consumatori, che possono essere indotti a ritenere che il segno Cocacolla ed il nome a dominio www.cocacolla.it siano volti a contraddistinguere prodotti/servizi distribuiti, organizzati o sponsorizzati dalla nostra cliente o che comunque l’uso del segno Cocacolla da parte sua sia stato autorizzato dalla nostra assistita in base ad accordi o altri legami contrattuali o societari, il che non corrisponde al vero».
Inutile provare a spiegare agli avvocati della controparte il perché del brand: «L’idea di chiamare il blog CocaColla nasce da uno dei nostri primissimi brainstorming, quando pensammo di mettere insieme la colla, elemento fondamentale dell’artistica di base e della street-art, con la Coca-Cola, simbolo della cultura pop, dell’industrializzazione e della pubblicità».
Inutile anche provare a resistere in giudizio: lo stesso legale cui i ragazzi si sono rivolti ha sconsigliato loro di intraprendere una causa contro il gigante delle bollicine, un avversario ben al di sopra della portata di un blog praticamente fatto in casa. E allora che fare? «Ormai con certezza, dobbiamo comunicarvi che il 5 Marzo 2012 chiuderemo il dominio www.cocacolla.it e tutti i profili social ad esso collegati. Inutile sottolineare la nostra amarezza, figlia dall’ennesima situazione nella quale Davide soccombe inevitabilmente contro Golia» scrive il team di Cocacolla. Ma non prima di aver lanciato un appello alla rete, ai blogger, ma anche agli utenti di Twitter e Facebook, nella speranza che la sensibilizzazione porti, chi lo sa?, la Coca-Cola a chiudere un occhio. E magari a desistere dal proprio intento.
La storia del piccolo Davide che lotta disperatamente per non soccombere al gigante Golia è un topos amatissimo dall’opinione pubblica, specie nell’era della comunicazione 2.0. Infatti, la storia del piccolo team di Cocacolla.it impegnato nella lotta per la sopravvivenza in rete non ha mancato di suscitare le simpatie degli utenti di del web, a cominciare ovviamente dai social network come Facebook e Twitter. Sono specialmente gli amanti del sito di microblogging a sostenere a suon di hashtag e ritweet la battaglia del sito in odore di chiusura.
I precedenti in questo senso non mancano di certo, e molti vantano un risvolto mediatico esponenzialmente enorme rispetto alla portata originale della vicenda. Uno di questi è sicuramente la storia del Mac Bun, l’hamburgeria slowfood torinese diventata una vera icona della cucina casalinga che batte le grandi catene di ristorazione. Alla sua avventura (questa volta a lieto fine), Linkiesta aveva dedicato un servizio. Il suo nome, Mac Bun, in piemontese significa letteralmente “solo buono”. Ma per McDonald’s, che il piemontese non lo parla di certo, si trattava invece di plagio. Così, nel 2009, poco prima che il ristorante apra i battenti, scattano le diffide da parte della multinazionale. Il ristorante cambia nome in M** Bun (proprio così, con i due asterischi), in attesa che sia il tribunale a stabilire chi ha ragione. Intanto la vicenda diventa pubblica ed arriva un insperato successo, che porta nel giro di pochi anni i due proprietari, Francesco Bianco e Gianfranco Scaglia, a diventare due veri e propri “miti” dello slow-fast-food, e consente al neonato marchio con le stelline di aprire un secondo ristorante nel pieno centro di Torino. Nel frattempo, i legali di Mc Donald’s comprendono che non ci sono più i margini per andare avanti in giudizio, e si ritirano dalla causa. Lasciando però ai minuscoli “concorrenti” una ricchissima dote di pubblicità e fama a livello nazionale.
I “supporter” di Cocacolla.it si augurano, nemmeno poi tanto segretamente, che anche la storia del loro blog beniamino possa approdare ad un epilogo simile. Di sicuro per i ragazzi di Cocacolla.it, comunque andrà a finire, sarà un successo: sdoganato dal mondo degli “addetti ai lavori”, catapultato sotto le luci della ribalta, il loro blog si vede assicurato un futuro di notorietà e seguito, anche con un eventuale nuovo nome meno “frizzante”. E l’ingiunzione di chiusura da parte della multinazionale frutterà molti più fan di quanto avrebbe potuto garantirne una costosissima campagna pubblicitaria. In fondo, anche questo è marketing.