“Flessibilità e salari mirati e la Germania è ripartita”

“Flessibilità e salari mirati e la Germania è ripartita”

BERLINO – La stampa lo definisce il «miracolo tedesco dell’occupazione». Altri preferiscono piuttosto parlare di «risultato di una politica precisa». Visto da fuori è quanto meno un’anomalia: mentre l’Europa è vittima della peggior crisi dopo la seconda guerra mondiale, in cui la Grecia si trova sull’orlo del precipizio, e Italia e Spagna in ginocchio, la Germania non solo si salverà dalla recessione, ma riuscirà a crescere – anche se di poco – anche nel 2012. C’è di più: la disoccupazione è scesa ai livelli migliori degli ultimi vent’anni. Nonostante questo, i critici dicono che è una farsa.

Gli ultimi dati confermano che, per quanto riguarda l’occupazione, la Spagna è la pecora nera dell’Eurozona, con un tasso del 22,85% e un ritmo di 9 mila nuovi disoccupati al giorno. Però anche nel resto dei paesi industrializzati le cose non vanno bene: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), sono in totale 45 milioni i disoccupati del primo mondo. Nel 2007, prima della crisi negli Stati Uniti, erano solo 29 milioni. Da questa tendenza negativa che interessa tutte le grandi economie dal Giappone al Nordamerica, si salvano solo Germania e Austria.

In Germania il tasso di disoccupazione è sceso a inizio gennaio al 6,6%, cioè sotto il limite di 3 milioni di persone in un paese di 81 milioni di abitanti. È stato il dato migliore dal 1991. A fine mese, la tendenza positiva si è fermata per la prima volta dopo mesi. Però gli esperti continuano ad essere ottimisti, e il “miracolo” si è trasformato in un motivo di vanto per la cancelliera Angela Merkel che attribuisce questi risultati alle sue due gestioni.

Come è stato possibile? Fino al 2005 la Germania era vista un po’ come il malato d’Europa per il fatto di avere un tasso di disoccupazione del 12,5%, dovuto in particolare alle conseguenze della riunificazione. Da allora il tasso si è ridotto praticamente alla metà.

Klaus F. Zimmermann, direttore dell’Istituto per il Futuro del Lavoro (IZA) preferisce non parlare di “miracolo”. Si tratta, secondo lui, di «una politica coraggiosa, in cui giocarono un ruolo importante una serie di accordi sui salari mirati alla creazione di nuovi posti di lavoro». Quello che è successo in Germania è stato, secondo l’economista, soprattutto un cambiamento di mentalità che lui auspica avvenga anche in Italia e Spagna. «In Germania le aziende hanno iniziato a cambiare la pianificazione del personale. Nei momenti di crisi, ora, cercano di non licenziare i lavoratori perché scarseggiano le forze lavoro specializzate. Mantengono il personale anche quando la situazione economica si fa critica», perché i nuovi contratti lo permettono. Il nuovo tipo di pianificazione è, per chi la difende, «più sostenibile» e «a lungo termine», cioè meno sensibile ai cambiamenti congiunturali.

Una delle iniziative adottate dal governo per rendere più flessibile il mercato del lavoro è stata introdurre una serie di modalità di contratto con orario ridotto. La più famosa è quella dei mini jobs, lavori part-time che permettono di guadagnare fino a 400 euro al mese e, nella maggior parte dei casi, vengono combinati con un sussidio parziale dello stato. Da quando sono stati introdotti nel 2003, le persone che lavorano con questo tipo di contratto sono, a oggi, 7,3 milioni.

Però ci sono anche le critiche: «negli anni della recessione, il governo è riuscito ad assicurare un certo numero di posti di lavoro attraverso una politica dell’occupazione audace», spiega Alezander Herzog-Stein, direttore della Fondazione Hans-Böckler, un think-tank vicino ai sindacati. «Il miracolo ha i suoi lati oscuri: attraverso questa deregulation molte posizioni sono diventate precarie», aggiunge. Questo avrà un alto costo sociale a lungo termine: «le differenze sociali si sono accentuate significativamente, con evidenti rischi per la società nel suo insieme», per il fatto che si sta formando uno strato sociale consistente che vive e vivrà in ristrettezze anche dopo la pensione.

Più critico ancora è Dierk Hirschel, responsabile di politica economica dell’unione di sindacati Ver.Di: «Non c’è alcun miracolo dell’occupazione. Che di fronte a una crescita del 3% (quale quella del 2011 in Germania, ndr) l’occupazione aumenti non è un fatto straordinario. Il numero delle ore pagate, cioè il volume di lavoro, è inferiore a vent’anni fa. C’è stato un trasferimento di forze dalle posizioni fisse a quelle part-time», spiega. E poi: «in Germania un’occupazione su tre è ora precaria. Un tedesco su cinque lavora con uno stipendio inferiore agli 8,50 euro all’ora». Sono in molti a considerare che i mini-job si sono uno strumento per il dumping dei salari.

I difensori dei nuovi contratti, come Zimmermann, argomentano che «non bisogna condannare ideologicamente queste condizioni di contratto, visto che permettono a chi non potrebbe di avere accesso a pane e stipendio. Le nuove posizioni sono state rivalutate anche come porta d’accesso a situazioni più stabili». Naturalmente, «ci sono errori e abusi che vanno corretti». In generale, finisce il ragionamento, l’aumento dell’occupazione riguarda anche i contratti a tempo indeterminato.

Oltre alla precarizzazione del lavoro si aggiunge il problema del confronto con gli altri paesi. Nel motore economico europeo, gli stipendi sono bloccati da anni e rimangono comunque poco competitivi con quelli del resto d’Europa, e poco attrattivi per “i cervelli” che il governo di Merkel vorrebbe importare. Inoltre, è degna di nota l’assenza di donne nei quadri dirigenziali, che occupano solo il 2% delle posizioni di comando nelle grandi industrie tedesche. Un livello che non può competere con il nord europa ed è più vicino a quello indiano. «Devono essere migliorate le condizioni di compatibilità tra lavoro e famiglia», riconosce Zimmermann. «Sotto questo aspetto la Germania ha ancora molto da fare».

Infine bisogna ricordare che la distribuzione dell’occupazione continua ad essere molto poco uniforme in tutto il paese: in media nell’est continua ad esserci una disoccupazione doppia rispetto all’ovest. Berlino, la capitale, è emblematica. Qui il tasso di disoccupazione è del 12-13%, chi vive esclusivamente degli aiuti sociali (Hartz IV) secondo un dato del German Economics Institute Cologne, non ha solo scarse possibilità, ma anche stimoli insufficienti per accedere al mercato del lavoro.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club