In una recente occasione pubblica, Dario Fo ha ricordato una frase di Giorgio Strehler sulla necessità e quasi superiorità dell’immaginazione rispetto alla comprensione. Uno strumento vivo quello teatrale che non sempre si manifesta, non sempre accade e per questo va costantemente ricercato, fatto respirare e ritrovato sotto forme e predisposizioni del pubblico a lasciarsi stupire e stimolare.
Ed è proprio la divisione degli stati d’animo, lo sconcerto e strappo che la rilettura di un classico suscita a innescare altre obiezioni sulla sua resa più o meno fedele, sulla tecnica che lo accompagna e il disturbo prodotto da commistioni di generi coinvolti nella sua nuova faccia. Da questi orientamenti possibili nasce l’esperimento di Viaggio al termine della notte, il primo e più noto romanzo della trilogia tedesca di Louis Ferdinand Céline, frammentato in forma di lettura-concerto da Elio Germano e Teho Teardo.
Tre sono le postazioni in cui si gioca la sfida che ha per principio la scelta dell’inizio e della fine di un testo fluviale, come l’incipit e il termine dell’esperienza umana nel suo ripiegarsi dentro la Prima guerra mondiale, pur con l’evasione dell’immaginario. Pur con la coscienza di un mezzo fittizio e insieme salvifico e utile quale è la scrittura. E sempre tre sono le anime dialoganti divise tra chi legge e muove la luce di un abat-jour, sporcando la voce tra due microfoni fino a confliggere o rimarcare i motivi di una chitarra e di alterazioni elettroniche che un violoncello accorda in velature sinistre o malinconiche secondo le grevità più nascoste.
Germano, recentemente già in scena a Milano al Teatro Franco Parenti con il monologo Thom Pain, adotta per sé il criterio di una parola con il dovere semantico di evocare e la confusione del suo contraffarsi per mezzo della musica ogni volta che prova a inscenare immagini. Ecco allora quella miseria che costringe Bardamu, protagonista del romanzo, a riflettere su guerra e prigione, a discutere dell’amore arido o benefico, a gridare un Dio riverso pancia all’aria, mentre attraversa l’Africa coloniale o riflette sull’inesistenza della razza francese che lo vede medico ed esiliato, incubo di se stesso.
Alla prosa densa di Céline si affianca l’intento condiviso da Germano e Teardo al momento di concepire uno spettacolo che travalichi le strutture e le formalità più annoiate per rendersi intaglio anche impreciso, scarnificazione, rottura delle forme. Il viaggio deve avvicinare chi abitualmente non accoglie il teatro e insieme invogliare l’ascolto, la sempre più larga diffusione di un classico che è un po’ uno spartiacque. Quel che avviene in scena è poi l’alternanza di tempi, modi e ragioni di infiltrazione e insistenza attraverso un processo di ripetizione di motivi per chitarra e live electronics di Teardo, accanto al violoncello di Martina Bertoni. Un’iperbole sonora che incontra il recitato di Germano provando a trasmettere quiete oscura e disagio, ma forse rimandando più alla cinematografia che al palcoscenico.
Si sperimenta cioè una rilettura che sottintende o inconsapevolmente abbraccia scenari in parte distanti dall’essenzialità voluta tra il nero del banco dello scrittore e l’urgenza di improvvisare sfidando rimbalzi di armonia e testo. Un inseguimento che si vorrebbe percepire più marcatamente vicino a un dialogo effettivo tra parola e suono, perché si inneschi una drammaturgia temeraria tra le provocazioni melodiche e l’interiorità oscura del narrato. Perché non si avverta, talvolta, il rischio di una distanza tra i cinismi e le violenze lessicali che dissezionano il conflitto e la didascalia pur suggestiva dello spartito.
L’inizio e la fine dell’uomo sono quindi oggetto di un ritratto breve eppure ininterrotto, un breve calco di interferenze che certo restituiscono il graffio perenne del viaggio céliniano tra vita e morte, capace di una forza intrinseca e riflessa nell’immaginazione. Giocare come metafora del cerchio teatrale implica ancora una volta concedersi di abitare e affrontare cadute, ed è il merito senz’altro di uno spettacolo che Germano definisce efficacemente hard-core, mentre continua a scartare a priori la consolazione di un plauso facile.
Viaggio al termine della notte
da Louis-Ferdinand Céline
musica Teho Teardo
al violoncello Martina Bertoni
di e con Elio Germano e Teho Teardo
produzione Fondazione Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con MUSICA90
copyright Editions Gallimard – Paris
Sala Shakespeare | 7 – 19 febbraio 2012
mar-sab: 20:30 / dom: 16:30
Teatro Elfo Puccini
corso Buenos Aires 33 – tel. 02 00 66 06 06
ORARI BIGLIETTERIA:
lunedì – sabato 10:30/19:30 | domenica 14:30/17:30