La Grecia continua a combattere per ottenere il nuovo piano di aiuti dal Fondo monetario internazionale. In serata è attesa l’approvazione del pacchetto di austerity in grado di blindare il secondo bailout. Ma cresce il partito di chi vuole la Grecia fuori dall’eurozona. Oggi la più estrema è stato il vice-presidente della Commissione europea Neelie Kroes. La politica olandese ha infatti affermato che zona euro può anche sopravvivere senza la Grecia». La risposta di José Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, non si è fatta attendere: «Noi vogliamo che Atene resti nell’euro». Eppure, lo sfogo della Kroes è solo la punta di un iceberg.
Da mesi l’opinione pubblica tedesca e olandese vedono un euro senza Atene. La stampa, specializzata e non, ragiona su cosa potrebbe succedere se la Grecia decidesse di tornare alla dracma. Handelsblatt, Der Spiegel, Die Welt, sono alcune delle testate tedesche che da un anno a questa parte parlano apertamente dell’esistenza di un piano per far uscire la Grecia dall’euro. E a quelle tedesche, si sono aggiunti di recente i giornali olandesi come Volkskrant.
Ma non solo. Anche negli organismi europei avanza l’idea che non ci possano essere altre soluzioni. «La Grecia, o meglio i politici greci, giocano con la pazienza dell’Europa, promettendo riforme che non arrivano mai», rivela a Linkiesta un alto funzionario della Commissione, impegnato nelle trattative con Atene, dietro promessa dell’anonimato. «L’Ue e il Fmi hanno dato piena disponibilità a sostenere la Grecia nel suo consolidamento fiscale, impegnandosi finanziariamente per quasi 300 miliardi di euro, ma i politici ellenici continuano a far finta di niente», dice il funzionario. In effetti, è questa la somma degli aiuti finora sul campo: i 110 miliardi di euro del primo bailout (maggio 2010), i circa 40 miliardi in titoli di Stato acquistati dalla Banca centrale europea (Bce) e i 130 miliardi del secondo bailout, ancora in discussione. «A questi potrebbero aggiungersene altri 30, da dirottare al programma di ricapitalizzazione per le banche greche», spiega il funzionario. A fronte di questo impegno, nel caso la velocità di riforma di Atene continui a non essere adeguata, l’intero piano di salvataggio potrebbe essere messo in discussione.
La verità è che, attualmente, quello dell’eurozona è un patto inviolabile. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona regolamenta l’eventuale uscita dall’Unione europea, ma non dalla moneta unica. Non ci sono quindi le condizioni giuridiche necessarie per un tal fenomeno. Solo con una modifica dei Trattati è possibile che la secessione di un Paese diventi realtà. Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy in ottobre si sono detti pronti alla revisione dei Trattati. L’operazione è già iniziata. Con il Fiscal compact, il nuovo pacchetto di governance economica europea approvato lo scorso 30 gennaio, l’Ue ha cominciato un processo che la porterà a essere radicalmente diversa nei prossimi anni. Finora non è ancora avvenuta alcuna discussione formale sulle possibilità di un’uscita dall’euro. Di questi tempi, però, ogni soluzione deve essere avallata.
La discussione se la Grecia debba o no uscire dall’eurozona tiene banco da mesi. La banca elvetica Ubs ha più volte messo in guardia da derive secessioniste che potrebbero avere effetti devastanti sul Paese, sia dal punto di vista economico sia da quello sociale. Eppure, questo non basta. I rischi di una deriva nazionalista capace di spingere per l’uscita del Paese dall’euro si sono incrementati. Il capo economista di Citigroup, Willem Buiter, ha ieri specificato che le possibilità che Atene scelga questa via, entro 18 mesi, sono passati dal 25%-30% di alcuni mesi fa al 50% di questi giorni. Colpa delle difficoltà che sta incontrando il Paese nel processo di austerity e di ritorno alla sostenibilità fiscale. Ma queste non sono gli unici fattori che stanno facendo perdere fiducia nel Paese.
L’appuntamento che preoccupa di più la Commissione Ue è però la prossima tornata elettorale. Prevista per aprile, non vedrà la partecipazione dell’attuale premier Lucas Papademos, il cui unico scopo è quello di adottare il piano di riforme richiesto dal Fmi. A contendersi il governo saranno Nea Dimokratia (centrodestra), Pasok (socialisti) e Laos (nazionalisti), ovvero i tre partiti che proprio in queste ore stanno ostacolando il lavoro di Papademos e dell’istituzione di Washington. «I greci sono stremati, è possibile una significativa sferzata nazionalista nelle prossime elezioni, con tutti i problemi e le derive del caso», afferma il funzionario Ue a Linkiesta. Il riferimento all’Ungheria, seppur implicito, è quello più azzeccato.
Twitter: @Fgoria