Il default greco fa paura, ma l’accordo con i privati è vicino

Il default greco fa paura, ma l’accordo con i privati è vicino

Una corsa contro il tempo. Questa è l’impressione che si ha guardando verso Atene. La Grecia sta cercando di trovare un accordo sulle misure di austerity richieste dal Fondo monetario internazionale. Le trattative vanno avanti a oltranza dallo scorso venerdì e solo oggi sembrano esserci diverse aperture da Atene. Intanto, il programma di ristrutturazione del debito coi creditori privati è quasi pronto. Ma prima, deve essere siglato l’accordo fra Fmi e Governo. E, anche in quel caso, non è detto che basti per evitare il default sovrano.

L’obiettivo di Papademos è di adottare il maggior numero di riforme. Senza di queste le possibilità che Atene possa ricevere i soldi del secondo piano di salvataggio si riducono sempre di più. Per ora, tuttavia, tutto sembra fermo. I tre principali partiti politici sono in disaccordo sui punti più importanti, come i tagli strutturali alla spesa pubblica e alle retribuzioni salariali. L’unica vittoria di Papademos è stata su sanità e difesa, i cui budget saranno ridotti di 2 miliardi di euro nel 2012. Troppo poco per ricevere i 130 miliardi di euro (più 15 miliardi per il piano-banche) del bailout approvato nel Consiglio europeo del 21 luglio. Il moderato Nea Dimokratia, il socialista Pasok e la destra nazionalista del Laos continuano a discutere da venerdì notte in merito al pacchetto di misure fiscali richieste dalla troika composta da Fmi, Banca centrale europea (Bce) e Ue. Il numero uno della missione, il funzionario del Fmi Poul Thomsen, ha rifiutato ogni commento, ma stando a quanto riporta il quotidiano ellenico Ekathimerini, le divergenze sono ampie.

«Abbiamo trovato un accordo sulle questioni principali, ma resta molto da fare». Il comunicato stampa del premier Papademos lasciava poco spazio all’ottimismo. Il tempo è poco e le ritrosie dei politici ellenici a ulteriori tagli sono tante. Uno dei deputati di punta del Pasok, Eva Kaili, ieri sera si sfogava su Twitter, chiedendosi che la ricetta per uscire dalla crisi poteva essere solamente quella di una secessione dall’eurozona. Gli facevano eco l’ex premier George Papandreou e l’attuale ministro delle Finanze Evangelos Venizelos. Eppure, dalla Commissione europea iniziano a spazientirsi. «Non hanno capito che, se non accettano queste misure di riduzione della spesa pubblica, l’unica via è quella del fallimento», spiega a Linkiesta un funzionario della Commissione Ue. Un concetto simile lo ha espresso il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, in un’intervista allo Spiegel in cui per la prima volta ha ufficialmente parlato di «default greco a marzo» se si continuerà a perdere tempo.

Viene esclusa da più parti la possibilità che la Grecia esca volontariamente dall’eurozona. Oggi uno dei portavoce della Commissione europea, Amadeu Altafaj-Tardio, ha spiegato che «non esiste alcun piano che preveda un’uscita della Grecia dalla zona euro». Parole analoghe a quelle di Georges Karatzaferis, leader del Laos, che ha ricordato come «la Grecia sia a tutti gli effetti uno dei membri più importanti dell’Europa». Del resto, una simile soluzione non sarebbe possibile dato che l’articolo 50 del Trattato di Lisbona regolamenta l’uscita dall’Europa, non dall’eurozona.

Sul fronte dei creditori privati, invece, ci sono importanti novità. Secondo quanto apprende Linkiesta da fonti vicine al dossier, tutto è pronto. C’è stato un accordo di massima fra l’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria, e il governo greco. Sui 365 miliardi di euro di debito pubblico, 206 sono quelli detenuti da banche, fondo d’investimento, fondi pensione ed hedge fund. Per loro sarà applicata una svalutazione del 50% sul valore nominale dei bond detenuti in portafoglio, cioè il cosiddetto haircut. A conti fatti, questo dovrebbe essere un taglio sul Net present value (Npv, o valore attuale netto) del 70%, in linea con le richieste del governo. I vecchi bond saranno scambiati con nuovi bond, emessi sotto la legge inglese per gestire al meglio le controversie. Questi avranno una scadenza trentennale, un coupon del 3,6% e un grace period di 10 anni. È ancora possibile che sia introdotta una clausola di azione collettiva (Cac) con valore retroattivo, in modo da forzare la ristrutturazione del debito, ma tutto dipenderà dal grado di soddisfazione degli hedge fund una volta siglato l’accordo fra governo greco e Fmi.

Il passaggio successivo sarà quello di lanciare la vera e propria operazione di swap. Nel primo memorandum d’intesa fra Iif e governo si erano fissate due date in particolare, 13 febbraio e 6 marzo. Entro il 13 di questo mese infatti dovrà essere presentata ufficialmente l’offerta di swap sulle obbligazioni. Il 6 marzo, invece, è la data entro la quale, secondo le intenzioni del Tesoro ellenico e dei creditori privati, completare tutte le operazioni di swap. La registrazione dei contratti avverrebbe quindi molto prima del 20 marzo, giorno in cui scade il maxi bond da 14,4 miliardi di euro che sta spaventando Atene. Senza un supporto del Fmi, sarebbe impossibile rimborsare i creditori. In quel caso, potrebbe scattare la dichiarazione d’insolvenza, cioè il default.

Il piano di contingenza, tuttavia, non è ancora pronto. Ecco perché Commissione Ue e governo greco hanno ribadito che le trattative potrebbe andare avanti a oltranza. In realtà una deadline esiste ed è proprio quella del 20 marzo. Ci sono ancora diversi giorni prima che il peggio diventi realtà. E in quel caso occorre che i due fondi di salvataggio, lo European financial stability facility (Efsf) ed European stability mechanism (Esm), siano pronti ad agire per evitare il contagio dell’eventuale bancarotta di Atene. Il Fmi ha più volte ribadito che serve una barriera di protezione più ampia per l’Europa. Ma questa, ancora oggi, non è attiva. 

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