Da una stima fatta dal presidente del Beijing Auto Industry Corp., Wang Dazong, all’Automotive News World Congress a Detroit di alcuni giorni fa, la Cina diventerà un mercato che arriverà a produrre 40 milioni di veicoli nel 2020. In pratica un’auto su due prodotte al mondo saranno fatte nel paese asiatico. Negli ultimi due anni, sono state prodotte in Cina ha prodotto più automobili che negli Stati Uniti, arrivando a circa 14 milioni di vetture nel 2010. Nonostante le voci di un rallentamento del trend di crescita e del costo esorbitante delle immatricolazioni, anche nel 2011 sembra che la crescita in percentuale sia stata a due cifre. Ad esempio, l’americana GM produce oggi più auto in Cina che negli Stati Uniti.
Passiamo ora alle opinioni. Dall’interessante intervista a Sergio Marchionne di Massimo Mucchetti apparsa sul Corriere della Sera il 24 febbraio, si ha la netta sensazione che qualcosa non torni. Dall’intervista sembra che il mondo giri ancora attorno all’Occidente, che il solo mercato su cui si debba puntare sia quello degli Stati Uniti e, cosa che mi ha sorpreso ancora di più, data l’attenzione che nonostante tutto l’Ad di Fiat di recente sta ponendo verso la Cina, non la citi per nulla.
La maggior parte dei gruppi automobilistici del mondo sono ormai presenti da anni in Cina e crescono esponenzialmente seguendo il trend di sviluppo del mercato.
Il Gruppo Volkswagen che, come ha ammesso anche l’Ad di Fiat, ha iniziato la scalata del mondo vent’anni fa, propone oltre 30 diversi modelli di auto considerando anche Audi, Seat, Skoda con quasi 2 milioni di automobili prodotte, posizionandosi secondo dopo GM, iniziando anche a esportare verso paesi del Sud Est asiatico e verso l’Oceania.
Il peccato originale della Fiat, commesso vent’anni fa, è stato quello di non aver creduto sin dal principio nell’Asia e quando sono stati poi fatti dei passi, non si è ascoltato il mercato, portando avanti scelte pre-confezionate a Torino, e puntando su modelli da imporre al mercato piuttosto che da proporre o da adattare alla peculiarità dei consumatori.
Un’altra grande assente in Cina è la Renault, che però ha di recente deciso di entrarvi portando la produzione delle sue auto elettriche da assemblare a Wuhan, la stessa Volkswagen inizierà la produzione di auto elettriche dal 2013 seguendo l’opportunità proposta del governo cinese che incentive questo tipo do mezzo.
Persino GM ha iniziato a produrre in Cina la versione elettrica della sua Chevrolet Sail, seguiti dalla Nissan con la Leaf.
Se si arriva per ultimi in Cina a produrre automobili, per puntare al successo potrebbe essere quindi importante valutare se proporre ancora vecchi modelli e tecnologie che a breve saranno superate, oppure partire da dove il mercato si andrà a posizionare.
La rivoluzione ecologista, se mai ci sarà, scoppierà in Cina. Qui tutto avviene molto velocemente e dove forse dovremmo guardare con interesse per imparare.
Quando le città cinesi, assediate da milioni di automobili e sotto una cappa gialla di smog e polveri sottili peggiore di quella di adesso, saranno costrette a limitare o addirittura bandire l’uso di automobili di grande cilindrata ed inquinanti, potrebbe partire lo stop al modello di sviluppo attuale e quindi chi non avrà investito in modelli innovativi ed ecologicici, rischia di restare fuori dai giochi.
E la Fiat che fa? Nell’intervista sul Corriere della Sera, Sergio Marchionne ribadisce l’importanza di guardare al mercato Nord Americano dato che l’Italia non è competitiva. Sono d’accordo con lui quando si parla in termini di poca flessibilità del lavoro e di bassa efficienza, ma se andiamo a vedere i salari degli operai non si riesce a capire come fanno i tedeschi ad aver raggiunto l’anno scorso, in piena crisi, un export record di oltre mille miliardi di euro, pur avendo tra i salari più alti in Europa. Non è forse un problema anche di organizzazione e di sviluppo del mercato e della carenza di investimenti in modelli alternativi e innovativi? Fino a quando dovremo vedere sfornare dalle fabbriche SUV e 500 senza tener conto che il mondo è cambiato?
Non dimentichiamoci quindi che pur producendo auto in tutto il mondo, la Germania ne produce oltre 5 milioni a casa propria dove esiste uno dei costi del lavoro più alto, contro il nostro mezzo milione di unità. Il volano dell’industria automobilistica ha permesso poi anche ai produttori di componenti di internazionalizzarsi e di riportare valore anche in Germania in termini dio commesse e di lavoro indiretto, dato che molti componenti vengono ancora prodotti in Europa e poi assemblati vicino agli stabilimenti in giro per il mondo.
Ancora una volta mi sono occupato di Fiat, che in Cina, dobbiamo riconoscerlo, presenta eccellenze come Iveco e di altre aziende del gruppo di componentistica e sistemi industriali, ma su quello che dovrebbe essere il core business (l’auto), l’azienda rischia di perdere ancora una volta la sfida e spero solo che ci si decida ad attuare strategie adatte al paese e non confezionate lontane da esso, cercando di prevedere il mercato.
Forse la sinergia con Chrysler, già presente in Cina, potrebbe essere la sorpresa per tutti se però si cercherà di proporre veicoli accattivanti, ma ecologicamente più compatibili.