BERLINO – «In totale sono stato quindici anni negli ambienti di estrema destra, di questi, sei anni sono stati di attiva militanza nelle strutture neonaziste organizzate di Berlino e Brandeburgo. Sono stato attivo cofondatore della “Berliner Alternative Süd-Ost” (Baso), un’organizzazione che è stata proibita nel 2005. Sono venuto a contatto con l’ideologia praticamente in casa mia. Passavo molto tempo con mio nonno, per me è stato un educatore. A tredici anni ho iniziato ad avvicinarmi alla subcultura giovanile neonazista e, in particolare attraverso la scena musicale e il calcio, ho avuto i primi contatti con le strutture neonaziste organizzate. Ho preso parte relativamente tardi alla scena attiva: a 21 anni ho seguito la strada della resistenza nazionalista. L’ho fatto per convinzione, perché mi era sembrato di trovare lì soluzione ai miei problemi e ai problemi politici del mondo. Dal 2006, per mia scelta e grazie all’aiuto di alcune persone, ho preso le distanze dal movimento».
«Le ragioni sono difficili da spiegare: mi pervadeva una terribile tristezza e insoddisfazione (…) per non avere una vita normale e un lavoro. Mi trovavo nel punto più basso della società. La costatazione del fatto che non vivevo in libertà e che era stata esattamente l’ideologia, che io stesso mi ero scelto, a portarmi verso questa situazione, mi ha spinto ad allontanarmi. Il primo passo è stato rivolgermi all’organizzazione Exit (che aiuta gli ex-extremisti a riabilitarsi, ndr). Da lì c’è poi voluto molto tempo per processare determinati aspetti: anche io ero un criminale, avevo preso parte ad azioni violente. È un processo che non è ancora concluso: questo non significa che io abbia alcun nesso con l’ideologia, quest’aspetto è totalmente chiuso. Nel 2006 mi sono diplomato, ho iniziato a lavorare per l’organizzazione. Sono portavoce di un gruppo di ex-neonazisti in cui confrontiamo le nostre dolorose esperienze. Il dibattito attuale sulla estrema destra è accettato: ascoltiamo molti discorsi e dichiarazioni di intenzioni che sono importanti. Però tra di noi sappiamo che proprio le persone che dovrebbero combatterlo (la polizia e i servizi segreti, ndr), si sbellicano dalle risate con l’estremismo».
Gabriel Landgraf, 35 anni, riassume la sua vita in cinque minuti senza prendere mai fiato, in un incontro con alcuni giornalisti stranieri nell’Associazione della Stampa Estera a Berlino. Sa che le sue parole pesano come macigni in questi mesi in cui l’intero paese è stato scosso da uno scandalo che ha portato alla luce pericolose connivenze tra l’estremismo di destra e i servizi segreti interni del Verfassungschütz (letteralmente “protezione della costituzione”).
Angela Merkel ha ricordato oggi le vittime (nove stranieri e una poliziotta tedesca) della cellula terrorista “Nationalistischer Untergrund” (Nsu), scoperta lo scorso mese di novembre, dopo più di dieci anni di attività criminale e dieci corpi innocenti lasciati a terra in tutto il paese. L’indagine non è ancora chiusa. Finora ha portato al suicidio dei due principali membri e all’arresto di una decina di altre persone tra membri e semplici collaboratori esterni. Si tratta di uno scandalo senza precedenti che ha profondamente imbarazzato il governo di Merkel e in particolare il suo ministro degli Interni, il super conservatore bavarese Hans-Peter Friedrich, sempre intento a dimostrare che i crimini di estrema destra diminuivano e non erano rilevanti. Parallelamente continua il dibattito riguardo alla necessità o meno di proibire il partito neonazista legale Npd, vari tentativi di escluderlo dallo spettro di partiti che ricevono finanziamenti pubblici sono fino ad oggi falliti.
A prima vista quella di oggi può sembrare una normale commemorazione ma si tratta in realtà di uno degli eventi più straordinari della storia recente tedesca. É una occasione che obbliga il paese e la politica a porsi almeno una domanda: come deve comportarsi uno Stato in cui le autorità hanno ignorato per dieci anni una serie di attentati politici e hanno voltato le spalle ai parenti delle vittime che chiedevano giustizia?
Diverse le persone che si sono rivolte a organizzazioni di aiuto per uscire da una struttura «simile a quella di Scientology», secondo le parole del fondatore di Exit, Bernd Wagner. In Germania l’organizzazione dell’estrema destra ha un certo grado di sofisticazione e le attuali leggi per la condanna dell’estremismo e il revisionismo non sono sufficienti di fronte a una cultura che non fa mistero dei suoi mezzi violenti, delle sue aspirazioni politiche rivoluzionarie. Le organizzazioni neonaziste penetrano profondamente negli strati di popolazione dove non arriva lo stato. Offrono una struttura e attività in zone povere dell’Est dimenticate dai politici e dalla religione. Sono bravi a reclutare membri da giovanissimi, attraverso la musica, internet e lo sport. Una volta entrato, ed é questo il vero problema, è molto difficile uscire.
Le persone che cadono vittima del fascino dell’estremismo hanno profili simili a quelli di Landgraf. Una madre «esoterica» che «non prendeva sul serio l’educazione» del figlio e la figura di un nonno autoritario e nostalgico del nazismo. «Non credo che mio nonno avrebbe mai voluto che diventassi neonazista, però aveva una immagine romantica della società nazista e dei valori comuni, diceva che in fondo non era così male come oggi la presentano», ammette. «Il terrorismo politico non è cosa del passato», insiste, «credo che sia importante chiedersi quando incomincia il terrore. Da parte mia posso dire che la mia struttura, quella a cui avevo preso parte diffondeva il terrore. Abbiamo diffuso paura, contro chiunque si fosse opposto a noi».
Gabriel chiede comprensione se evita di parlare di fatti concreti di violenza per «pudore». Per lo stesso motivo chiede di non essere fotografato anche se accetta di usare il suo nome reale. Spiega che nei primi anni della sua attività organizzata «la motivazione era principalmente razzista e il modello di nemico era lo straniero, gli immigrati. Nell’ ambiente di estrema destra molte cose sono cambiate e si sono evolute con nuove aspirazioni rivoluzionarie in cui anche i modelli dei nemici sono cambiati, non più solo gli stranieri ma l’intera società multiculturale. I nemici erano quindi tutti i nostri possibili oppositori politici, persone che appartenevano a vari livelli alla scena antifascista: volontari, giornalisti, politici». Landgraf si sforza di spiegar che è sbagliato immaginare l’ambiente di estrema destra come un luogo in cui persona con le teste rasate (lui è rasato ma, dice, per altri motivi), vestite di nero che passano tutto il giorno a bere birra. Appartenere a queste strutture significa lavorare 24 ore, organizzare manifestazioni, trovare informazioni, organizzare attività di terrore e violenza. «Si tratta di persone saldamente ancorate alla società: ottenevamo informazioni dalle amministrazioni pubbliche e dalla polizia».
Dal 2000 ad oggi, 441 persone si sono allontanate da gruppi neonazisti di vario genere solo attraverso Exit. Le persone che cercano di tagliare i ponti con queste strutture non sono solo ex fanatici ma anche familiari, come Frau Schmidt (il nome è volutamente incompleto nda), una giovane donna che si è innamorata della persona sbagliata. «Lui diceva che avrebbe abbandonato la violenza. E io gli ho creduto». Schmidt viene da una famiglia in cui il bisnonno fu prigioniero in un campo di concentramento, l’educazione in casa sua è sempre stata tollerante, ma il semplice fatto di trovarsi nel posto sbagliato ha deciso il suo futuro. Una volta rimasta incinta ha deciso di tenere il bambino ma da lì è stata ridotta a «un animale domestico». Ottenuta la separazione è iniziato il vero incubo «il problema è diventato il bambino», spiega. «Negli uffici pubblici e presso le autorità che decidono l’affidamento, il fatto che il padre sia un neonazista che ha partecipato ad azioni violente ed è apertamente negazionista, non viene tenuto in conto». Per gli estremisti di destra i figli sono importanti, decisivi, su di loro si basa la perpetuazione dell’ideologia e della razza.
Bernd Wagner, fondatore di “Exit”, ammetteche, mentre si ottengono buoni risultati quando i singoli decidono di uscire dal labirinto, la situazione è molto più complessa quando si tratta di donne con i figli. «La situazione è simile a quella delle donne musulmane che vogliono allontanarsi dai mariti. C’è veramente poco da fare, anche per noi», ammette. «Manca l’appoggio dello stato, non ci sono veri provvedimenti contro queste situazioni». Il copione, secondo quanto spiega, si ripete uguale per decine di donne: vengono minacciate e spinte a reazioni estreme e irrazionali come il rifiuto di lasciare il padre con i figli. Questi atteggiamenti vengono puntualmente usati come base per una accusa di «disturbi psicologici» e spesso accade che i padri riescano a sottrarre i figli, «Ci sono veramente poche chance per queste donne».
Alcuni analisti segnalano che, come la storia insegna, spesso l’estremismo di destra è voluto, per contenere quello di sinistra. Wagner rifiuta questa spiegazione, «non credo che ci sia una esplicita volontà politica«. Però il dubbio rimane.