È dura tornare a parlare del Pd senza ripetere gli stessi concetti. Purtroppo l’attualità politica ripropone il tema in maniera eclatante. Alle primarie di Genova il partito di Bersani è stato nuovamente sconfitto, così come accadde a Milano e Napoli un anno fa. Il Pd si è diviso tra due donne, la sindaca Marta Vincenzi e la parlamentare Roberta Pinotti: il risultato è stata la vittoria di Marco Doria, docente di Economia sostenuto da Nichi Vendola e don Gallo. Insomma una figuraccia, l’ennesima.
Peppino Caldarola ha già detto tanto, tornando sui soliti nodi che peraltro mai vengono affrontati dal partito: alla sconfitta del finto nuovo seguirà l’altrettanto finta autocritica che terminerà con la promozione delle consuete facce nelle liste bloccate. I dati di fatto dicono in maniera evidente che il Pd è un partito ormai da tempo accartocciato su se stesso, incapace di dare uno sguardo al Paese, alle condizioni di vita degli italiani, alle loro aspirazioni. E se prima almeno c’era Berlusconi a far passare in secondo piano qualsiasi altro ragionamento, oggi l’inadeguatezza si staglia in tutta la sua immensità. I metodi di reclutamento interni sono sempre gli stessi: al merito, parola che mette i brividi in casa democratica, viene da sempre preferita la prossimità, quell’insopprimibile desiderio di circondarsi di una stretta cerchia di fedelissimi cui viene dato in cambio uno stipendio da funzionari.
Perdonate se la discussione sembra terra terra, ma il passaggio è fondamentale: chi non riesce con le proprie forze, il proprio lavoro, a guadagnarsi uno stipendio, si ritrova con trasporto ed entusiasmo ad annuire ai discorsi del segretario o del suo capocorrente. Magari, e questo è l’errore imperdonabile, potremmo dire anche il risvolto diabolico della vicenda, cre-den-do-ci. Sproloquiano, dibattono, analizzano, tratteggiano scenari, si vantano di successi mai ottenuti. Fino a che non arriva quel momento che al Pd soffrono come in nessun altro luogo: il contatto con la realtà, sotto forma di quei brutti scatoloni di cartone dove delle persone maggiorenni depositano un foglio di carta con una croce sopra. E lì, quando quegli scatoloni vengono aperti, emerge ogni volta, puntuale come i treni di una volta, che gli italiani del Pd e delle loro solite facce non ne possono più.
Quest’anno è stato festeggiato il decennale di piazza Navona, quando Nanni Moretti prese la parola davanti agli esterrefatti Fassino e Rutelli e disse: “con questi non vinceremo mai”. Mai battuta fu più felice. Bisognerebbe erigergli una statua al regista di Ecce Bombo. Ha capito i mali della sinistra italiana come pochi altri e, soprattutto, ha avuto il coraggio di denunciarli pubblicamente. Qualcuno dirà che non è vero, che una volta il centrosinistra ha vinto. Beh sì, quei 24mila voti di differenza che mortificarono la seconda esperienza di Romano Prodi al governo.
Da allora, nei meccanismi di elezione interni al partito, ben poco è cambiato. Le facce sono rimaste le stesse. E, soprattutto, il modo di ragionare non è cambiato di virgola. Nel Pd i giovani come parlano come gli anziani. Avendo pure il doppio dell’arroganza e della tracotanza. Già le sentiamo le critiche arrivare in lontananza: “la rivoluzione non è una pranzo di gala, se le energie nuove non sono in grado di prendersi il partito, la colpa è loro. Mica i senatori possono dire: prego, accomodatevi”. Ecco, a queste affermazioni che abbiamo già ascoltato mille volte, rispondiamo così: purtroppo oggi chi ha voglia di fare qualcosa di nuovo non prende più minimamente in considerazione il Pd e si rivolge altrove. Nel partito i meccanismi di cooptazione sono talmente sclerotizzati che modificare gli ingranaggi è praticamente impossibile. L’unica scelta che resta è non votare loro e i loro candidati. Come accaduto a Milano con Pisapia, a Napoli con de Magistris (l’uomo scelto dal Pd in quell’occasione nemmeno arrivò al ballottaggio) e adesso a Genova con Doria.
Ovviamente nulla cambierà. Il segretario Bersani resterà al suo posto. Oppure sarà sostituito con uno del tutto sovrapponibile a lui. Almeno fino alle prossime politiche, quando il partito nato sulle spoglie di Ds e Margherita rischia di prendere un ceffone storico. Qualcuno avvisi i funzionari, giovani e non, che trascorrono gran parte delle loro giornate divertendosi a disegnare gli organigrammi della prossima legislatura un po’ come i tifosi di calcio stilano le formazioni della propria squadra in tempi di calciomercato. Quei foglietti lì tra un anno saranno roba buona per gli amanti della fantascienza. Qualcuno avvisi il Pd che fuori c’è un’altra Italia.