Angela Merkel sta tornando. Dopo le batoste elettorali subite dal suo partito, il Cdu, nelle elezioni in Renania Settentrionale (Dortmund) e soprattutto in Baden-Wurttemberg, i mesi di sopravvivenza del cancelliere nell’orribile ufficio moderno di Berlino sembravano contati. Si sono aggiunti poi problemi su problemi. La prevedibile sconfitta alle elezioni di Berlino è stata resa ancora più pesante dal successo del “Partito dei Pirati”, improbabile piattaforma di “giovani” che sanno ben poco di amministrazione pubblica, ma molto di marketing. Il presidente federale, Christian Wulff (Cdu), è da tempo sotto attacco per alcuni presunti “favori” richiesti ad amici imprenditori.
Ma, nonostante tutto questo, negli ultimi sondaggi i conservatori del Cdu/Csu hanno guadagnato nuovamente posizioni, attestandosi al 35,5% delle preferenze (erano al 32% in ottobre), rispetto al 28,8% dei socialdemocratici dell’Spd (stabili). Anche a livello di partner politici, il vantaggio dell’Spd si è ridotto di molto: i Verdi sono meno popolari rispetto a poco tempo fa, e rischiano di perdere il vantaggio accumulato con il crollo dei liberali – che hanno dimostrato di essere una versione patinata dei “pirati”, con la differenza di occupare qualche ministero di rilievo. Ai fatti, ciò che hanno perso il liberali è stato guadagnato dalla Cdu.
Il problema dell’Spd è che le politiche conservatrici del governo, tra critiche e incertezze, sembrano funzionare. Le riforme del mercato del lavoro e del sistema sociale degli anni Duemila stanno pagando. Sono stati ridotti i sussidi alla disoccupazione e sono state introdotte forme di lavoro atipico, quanto regolamentato. Certamente, ciò ha portato a un peggioramento in merito all’uguaglianza dei redditi, ma ha consentito di far entrare nel mondo del lavoro persone che, altrimenti, avrebbero corso il rischio di diventare disoccupati di professione.
Ci sono questioni etiche ancora da affrontare. In particolare, si è aperto un mondo di “lavoratori da 400 euro al mese”, sussidiati dallo stato, che sta andando oltre la funzione per cui era stato pensato. Ma la disoccupazione ha raggiunto in dicembre il 6,6%, salendo al 7,3% in gennaio a causa del freddo che ha condizionato i lavori all’aperto. Tanto è bastato per convincere l’elettorato del fatto che “lavorare meno, lavorare tutti” può essere un modello condivisibile – per poi affrettarsi ad affollare centri commerciali e ristoranti.
L’Spd è spiazzato. Comprende che sta perdendo terreno. Sa che proposte troppo forti sull’economia rischiano di spaventare i lavoratori salariati – ben pasciuti e in salute – oltre che gli imprenditori. Una proposta d’introduzione del salario minimo a 8,50 € l’ora è naufragata in parlamento il 20 gennaio. Peraltro, la Cdu a dimostrato aperture sul tema: già in novembre, il partito aveva approvato una proposta in questo senso a Lipsia, presso il parlamento della Sassonia.
A questo punto, i socialdemocratici si sono trovati impossibilitati a sviluppare un modello politico davvero alternativo a quello dello sviluppo diseguale proposto dal cancelliere. In qualche modo, la Germania si è “americanizzata”. Ma nello scontro con i repubblicani, l’Spd poteva scegliere di diventare “democratico”, ma sembra proprio che voglia perseguire una strada, ehm, “socialdemocratica”.
La strategia politica è di fare appello ai delusi dallo sviluppo tedesco. All’ultimo congresso del partito, all’inizio di dicembre, si è parlato di aumentare le imposte per i più ricchi dal 42 al 49 per cento. Si è proposto di bloccare i benefici pensionistici ai livelli attuali, per evitare «la povertà degli anziani». La serissima e stimata fondazione dell’Spd, la “Friedrich Ebert Stiftung”, si è recentemente esibita in un paper di elogio alle cooperative, “attrici del mercato e della società civile”, tema da alcuni giudicato in odore di DDR.
Alla fine, quella dell’Spd non è solo una virata a babordo: è una cesura con l’eredità “new labour” della sinistra europea. Si pensi alla tassazione per il reddito di fascia alta: il 42% era stato raggiunto con le riforme dell’Spd e dei verdi dal 1999 al 2005, a partire da un livello del 53%. La stessa riforma del sistema sociale, e in parte quella del lavoro, sono opera di Schröder. Si può affermare con tutta tranquillità che gran parte del successo di Angela Merkel è targata sinistra.
In un certo senso, l’Spd non solo ha dovuto pagare il costo politico delle riforme, con l’uscita di Schröder dal cancellierato, ma adesso si trova a essere completamente defraudata dei suoi meriti. Il modello new labour è di casa nella Cdu, mentre la piccola battaglia di ritorno ai valori di sinistra è persa in partenza. Ciò perché mancano i numeri, ma soprattutto perché le questioni ideologiche del tipo anelato dall’Spd sono una palude retorica presidiata da guardiani feroci e massimalisti, appartenenti alla sinistra più radicale e radicalmente chic.
L’Spd potrebbe invertire la tendenza e tornare a salire nei sondaggi, per coltivare speranze di vittoria alle elezioni federali del settembre 2013. Può riuscirci, ma la questione non dipende dalla leadership. Basta che l’economia inizi ad andare male. Insomma, gufare è meglio che soffrire.
*Docente di economia e politica presso l’Università di Potsdam e Senior Fellow di bigs-potsdam.org