La fedeltà di un pastore tedesco può insegnarci a pregare

La fedeltà di un pastore tedesco può insegnarci a pregare

Con la preghiera l’uomo cerca la comunione col mistero in una relazione di benevolenza e di amicizia: questa relazione struttura la vita. La stessa cultura umana è fondata sulla religione, sul culto. La città è strutturata sul tempio: il “fano”. Il pro-fano è quello che sta davanti al tempio: se manca il tempio non c’è più il profano, perde senso tutta la profanità della vita. 

Marco 1, 32-35
Ora, fattasi sera, quando cadde il sole, portavano a lui tutti gli ammalati e gli indemoniati e tutta la città era riunita presso la porta. E curò molti ammalati di diverse malattie e scacciò molti demoni e non lasciava parlare i demoni perché lo conoscevano.
E di buon’ora, in notte fonda, levatosi, uscì e se ne andò in un luogo deserto e là pregava. 

Questo brano chiude la prima giornata di Gesù raccontata nel Vangelo: la prima giornata rappresenta il programma di tutta la giornata della sua vita. Allora possiamo ricavare da questa giornata tutto il programma del Vangelo… ma poi si fa sera.

Il calare delle tenebre è l’inizio dell’inattività dell’uomo, rappresenta la morte. Tutto il bene che hai fatto durante il giorno è finito. E questo è in fondo la prospettiva che ha l’uomo: di giorno fa, vive la sua giornata di esistenza, poi tutto finisce. Qui vediamo invece che la sera di Gesù è particolarmente interessante più del giorno, e diventa una pienezza di vita, una totalità di vita.

Ora, fattasi sera, quando cadde il sole, portavano a lui tutti gli ammalati e gli indemoniati e tutta la città era riunita presso la porta.

Per noi la sera è la fine di tutto, per Gesù la sera è il principio di tutta la sua attività. È rovesciata la nostra prospettiva. 

Il capire che la sera non è la fine di tutto, vuol dire cambiare il senso della vita. Se io so che la mia sera non è semplicemente il cessare di ogni attività, ma è il lasciar lo spazio all’attività di Dio in me, allora la sera della vita, che poi c’è ogni giorno, vuol dire che è il luogo dove  vivo la vita in modo più profondo. La sera è anche il luogo dove sperimentiamo il nostro limite, ed lì che noi entriamo in comunione con l’altro. Nel nostro limite assoluto siamo in comunione con l’Assoluto. E allora abbiamo la sua forza.

Non temere più la sera, non temerla come il vuoto della vita, vuol dire vivere bene tutta la vita. Se no, vivi tutta la vita nell’incubo di arrivare a sera e sai già che tutto quel che fai non vale nulla, perché poi viene la sera. Se invece, questa sera è il compimento di tutto quello che fai durante il giorno, ben venga la sera e ben venga quello che c’è durante il giorno. E tutto ha senso. 

E curò molti ammalati di diverse malattie e scacciò molti demoni e non lasciava parlare i demoni perchè lo conoscevano.

La parola “curò”, che si traduce anche con “guarì”, in greco significa proprio avere cura, avere rispetto, è una terapia. Mentre il guarire è molto spiccio e definitivo, il curare è proprio un prendersi cura continuo. Piccolo dettaglio: Gesù non cura le malattie, cura i malati. Quindi scaccia molti demoni: la sua cura è la liberazione del male.

I demoni conoscono Gesù, ma lui non li lascia parlare. Per molti motivi. Primo: Gesù non ama la pubblicità, non vuole propaganda. Secondo motivo: i demoni lo conoscono, perché sono di ordine spirituale, ma non è detto che lo amino. Il problema, dunque, non è conoscerlo, è amarlo. Uno può avere una fede correttissima, ma se non ama ha una fede diabolica. Terzo motivo: di Gesù non si può dire che è Dio prima che muoia sulla Croce.

Il mistero del Dio che Gesù rivela, non è quel dio potente che sta in alto, e che domina tutti, ma quel Dio che è amore assoluto per l’uomo, che è servizio assoluto per l’uomo. Questo lo capiamo solo dalla Croce. Se uno pensa che Dio è quello che fa i miracoli perché è potente, allora vorrà diventare potente. Se invece Dio è amore che dà la vita e serve tutti, allora vuol dire che, se cerco di diventare come Dio, diventerò servo degli altri e amerò gli altri. La differenza è grande: una è l’immagine diabolica di Dio, un dio potente che domina; l’altra è l’immagine divina di Dio, che è amore e che è servo di tutti. 

E di buon’ora, in notte fonda, levatosi, uscì e se ne andò in un luogo deserto e là pregava.

La notte è fatta per pregare oppure per morire, o per stordirsi, oppure è il sonno, che fa bene ed è la mimesi della morte, per questo fa bene. È simbolo del nulla, di ciò che tutti noi temiamo e aspettiamo: la morte. Richiama la notte del caos originario, le tenebre, richiama la notte dell’Esodo quando si formano le tenebre sull’Egitto, richiama quando tramonterà il sole a mezzogiorno sulla Croce, cioè la notte definitiva. Cosa fa Gesù? Si alza: il termine alzarsi è lo stesso di risorgere. 

È interessante capire da questo versetto cos’è la preghiera. È qualcosa che avviene nella notte: è risurrezione nella notte. La preghiera è ciò che fa uscire dalla morte e ti pone in comunione con Dio. La preghiera è un uscire, un esodo: un’uscita fondamentale che deve fare ogni uomo per essere se stesso e accogliere l’altro. Quando uno prega esce dal proprio soggettivismo spirituale, da sentimenti e pensieri di cui in qualche modo ci compiacciamo. È proprio un comunicare, stare davanti all’Altro, non davanti a se stessi, fermarsi anche per sperimentare, come dice il Salmo 46: fermatevi e sappiate che Io sono Dio.

In tutte le religioni è comune la preghiera. In genere è vista come un’opera buona verso Dio per ingraziarselo, oppure addirittura è un’opera magica con cui captare l’energia divina. La preghiera è nulla di tutto questo. Dio non ha bisogno di opere buone. Tanto meno è una cosa magica. La preghiera per l’ebreo è quello star ritti davanti a Dio che è padre, madre, sposo, amico: l’altra parte. È proprio quella relazione di amore con l’altro che fonda il tuo io. Perché è relazione di amore con Dio che è tutto e ti fa entrare in relazione con tutti. 

Quando diciamo “preghiera” intendiamo proprio quella comunione, quell’affetto con Dio, che non ha nulla a che fare con le pratiche spirituali. Noi potremmo fare cinquanta messe al giorno e trecentocinquanta rosari, e nei tempi intermedi far tutti i “mantra” possibili, poi yoga tutta notte, ma non è preghiera.

Per la preghiera ho avuto un grosso guru. Era un pastore tedesco che si chiamava Lea e veniva  da me, e si metteva lì per ore davanti, e stava lì così, contento di essere lì. Così la preghiera è lo star davanti a Dio come il mio cane stava davanti a me: contento di essere lì. È la gioia proprio di stare alla presenza, di quella presenza che fonda la tua esistenza, l’esistenza di tutto, perché è la presenza di Dio.

La preghiera è il cuore che ama, qualunque cosa faccia, anche se sta pulendo i pavimenti, se sta lavorando, se sta studiando, se incontra uno che scoccia. Il fine della giornata di Gesù è la preghiera nella notte: qui realizza la pienezza di vita e di luce. Così la preghiera è il respiro della vita ed è la vita.

*biblista e scrittore

Il testo è la sintesi redazionale della lectio divina tenuta nella Chiesa di San Fedele in Milano. L’audio originale può essere ascoltato qui.

Nella foto, Nicola Magrin, «In cammino nei villaggi vicini», acquerello su carta Arches, cm 28 x 38, 2012 – cortesia della Galleria Blanchaert
 

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