C’è stato chi ha gridato alla vittoria di Albert Einstein, la cui teoria della relatività sarebbe nuovamente stata messa al riparo dalle discussioni. E c’è chi, come la rivista Science, parla senza mezzi termini di un «errore» dovuto a un cavo non ben collegato. In ogni caso, l’esperimento Opera con i suoi rivelatori nascosti nelle viscere dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso è tornato a far parlare di sé dopo lo scorso settembre, quando i fisici del progetto avevano annunciato che i neutrini viaggiavano tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso a una velocità superiore a quella della luce, considerata un limite invalicabile. Un risultato che gli stessi ricercatori di Opera hanno rimesso in discussione, alla luce di ulteriori verifiche.
Da allora, quando i dati vennero presentati a un seminario del Cern proprio perché così sorprendenti da richiedere a tutta la comunità scientifica aiuto per un’ulteriore verifica, i ricercatori di Opera non hanno mai smesso di analizzare in maniera ancor più accurata tutto l’apparato sperimentale. Lo scopo era di capire se alla base dei dati ci fosse un errore sistematico dovuto alla strumentazione e non al comportamento dei neutrini.
Antonio Ereditato, portavoce di Opera, si schernisce: «Non si tratta di un errore, ma non vogliamo nemmeno accampare delle scuse: se ci abbiamo messo tanto è perché non è così semplice». Ma, aggiunge, «con la stessa prudenza con cui abbiamo reso pubblici i dati lo scorso settembre, anche in questa occasione non possiamo mettere una parola definitiva in nessuna direzione: servono nuove misurazioni». Per questo ci potrebbe essere una nuova finestra di «presa dati» già dal prossimo aprile.
Il cavo non ben collegato di cui ha parlato Science è un cavo in fibra ottica che collega il Gps con la scheda elettronica per l’acquisizione dei dati. «L’interfaccia tra questa fibra ottica e il fotodiodo avviene attraverso una connessione», spiega Ereditato, «e come tutte le connessioni può avere due stati: on e off». Questo componente, però, presenta anche degli «stati intermedi» in cui il funzionamento appare normale, ma in realtà non è così. Potrebbe essere, quindi, questa anomalia la responsabile di un apparente guadagno in termini di velocità dei neutrini registrata nei laboratori dell’Istituto Nazionali di Fisica Nucleare (Infn).
Una velocità vicina a quella della luce, 300mila chilometri al secondo, non è facilmente misurabile. Sia durante la produzione e l’indirizzamento del fascio di neutrini al Cern, sia quando questo arriva al Gran Sasso 2,5 millesimi di secondo più tardi si verificano una serie di effetti che influenzano la velocità e dei quali, invece, i ricercatori devono tenere conto andando a calcolare la reale velocità dei neutrini. Uno di questi è il comportamento del famoso cavo, che potrebbe essere il responsabile dei 60 nanosecondi (miliardesimi di secondo) di anticipo dei neutrini rispetto al tempo atteso.
Per un effetto che «rallenta» i neutrini e sembra andare nella direzione opposta a quella dei dati di settembre 2011, però, ce n’è uno che li «accelera». Nelle verifiche effettuate sulla strumentazione i ricercatori si sono accorti che la sincronizzazione tra due orologi atomici impiegati per l’esperimento c’era qualcosa che non andava. «Anche in questo caso», spiega Ereditato, «abbiamo bisogno di fare ulteriori verifiche», ma si potrebbe trattare di un elemento a favore della velocità dei neutrini, dando loro un vantaggio di 20-25 nanosecondi rispetto al tempo di volo atteso.
La vicenda, quindi, è tutt’altro che chiusa, come ha detto Ereditato e hanno confermato le dichiarazioni del direttore scientifico del Cern Sergio Bertolucci e del presidente dell’Infn Fernando Ferroni riportata da un lancio Ansa. Oltre alla ripetizione dell’esperimento ad aprile, una verifica cruciale sarà data dalla replica dell’esperimento che verrà tentata da un gruppo americano e da uno giapponese. Sperando che verifichino prima che tutti i cavi siano a posto.