La Grecia potrebbe essere spinta al fallimento dalla stessa Europa. Fino a oggi infatti non sono arrivati i dettagli del nuovo piano di austerity del governo ellenico. E Bruxelles ha perso la pazienza. E dire che oggi dovrebbe essere l’ultimo giorno disponibile per rientrare nei tempi tecnici utili a scongiurare il rischio di un default. A essere riluttante continua a essere il partito di centrodestra Nea Dimokratia, guidato dall’ex premier Antonis Samaras. Se non si sbloccherà la situazione entro poco, non si potrà onorare il rimborso dell’obbligazione da 14,5 miliardi di euro che scade il 20 marzo.
Dopo una settimana di tensione e scontri di piazza, la crisi greca doveva essere risolta in questa settimana. Ma come ha ricordato il numero uno di Nea Dimokratia, Samaras, «non ci sono ancora le condizioni per trovare i capitoli di spesa da tagliare». La crescita economica è la priorità spiega l’ex premier, che ha anche indirizzato una lettera all’Ue per cercare di spingere sull’acceleratore della compassione con Bruxelles. I patti sono patti, tuttavia, e quindi l’Europa ha chiesto una veloce risoluzione delle questioni. O firma o niente aiuti, come ha riportato Reuters. Samaras non ci sta e invoca i concetti di democrazia e solidarietà per far fronte comune contro le richieste della troika. Ma sa che senza la sua firma, il prestito da 130 miliardi di euro non sarà concesso.
Il premier Lucas Papademos ha richiamato i tre partiti politici greci alla coesione nazionale. Non è bastato. Nea Dimokratia e Laos continuano a osteggiare il piano del primo ministro, mentre il Pasok di George Papandreou ha aperto, seppur con diverse riserve. I timori sono tutte le legati alla crescita economica che, come spiegano i politici greci, sarebbe «assente». Di contro, Bruxelles vuole che i tagli alla spesa pubblica siano concreti e strutturali.
L’Unione europea starebbe quindi pensando a un ritardo nella decisione in merito al secondo bailout di Atene. Il problema è capire in che modo si potrà rimborsare il maxi bond da 14,5 miliardi di euro che scade il prossimo 20 marzo. Si parla di un’erogazione una tantum, ma tutto è ancora in forse. Quello che è certo è che, stando alle ultime indiscrezioni della troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Ue, la situazione sta peggiorando di giorno in giorno. Il rapporto debito pubblico/Prodotto interno lordo è al 160%, mentre il deficit è vicino al 9 per cento. Il Pil continua a essere rivisto al ribasso e il timore dei funzionari è che possa esserci ancora una volta un peggioramento delle previsioni per il 2012, data l’austerity.
Non migliora nemmeno la situazione per i creditori privati della Grecia. Dopo una dura negoziazione il piano di ristrutturazione del debito è pronto da oltre una settimana. L’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria internazionale, ha reso noto in via informale di aver sul tavolo la lettera di accordo per la partecipazione volontaria alle perdite. Ma i tentennamenti della Grecia e il possibile ritardo nello stanziamento dei fondi stanno già irritando gli investitori che hanno esposizione su Atene e hanno deciso per la volontarietà delle svalutazioni. È ormai quasi sicuro che, se non ci sarà un accordo entro la fine di questa settimana, l’Iif rimetterà tutto in discussione. I contatti fra la lobby bancaria e l’International swaps and derivatives association (Isda), l’associazione che disciplina le controversie nel mercato dei derivati, per prepararsi al default ellenico sono già cominciati da mesi. E stando alle fonti bancarie de Linkiesta, è possibile che ci sia già un’indicazione di massima per lo scatto dei Credit default swap (Cds), i derivati che proteggono dal fallimento di un bond.
Che Samaras firmi o no, l’impressione è che poco importi. L’abisso in cui è entrata Atene sembra essere senza fondo e «nemmeno l’intervento delle banche centrali nelle perdite derivanti allo swap su debito potranno risolvere la situazione», come ha spiegato la banca elvetica UBS nell’ultimo report su Atene. Considerando tutte le variabili, è facile capire perché l’Europa voglia ritardare il secondo salvataggio.