Ci sono forti differenze economiche tra i paesi dell’Europa. Giorgio Fuà (1919-2000) non solo ne era convinto, ma pensava che quelle differenze andassero pensate come interagenti dinamicamente. Nel 1978, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) incarica Giorgio Fuà di preparare un rapporto sui sei paesi membri (Italia inclusa) relativamente meno sviluppati. A quell’epoca i paesi membri dell’OCSE sono: Austria, Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo, Repubblica Federale Tedesca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia.
I sei paesi che Fuà denomina PSR (Paesi di Sviluppo più Recente) oggetto del rapporto sono: Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna Turchia.
Qui sono riportate le conclusioni della prima parte, dal titolo “I problemi di fondo comuni ai paesi di sviluppo recente e la strategia appropriata”.
da Ve l’avevo detto*, Giorgio Fuà
I PSR [paesi di sviluppo più recente] non possono realizzare grandi progressi nel superare le loro difficoltà se non c’è una vigorosa cooperazione internazionale.
Vale la pena di riepilogare i punti per i quali il bisogno di cooperazione è risultato particolarmente urgente:
– occorre invertire le attuali tendenze protezionistiche e mettere in atto una strategia concordata in sede internazionale per realizzare l’ “aggiustamento positivo” delle bilance dei pagamenti;
– occorre organizzare una discussione multilaterale sulle linee evolutive della divisione internazionale del lavoro, non ovviamente per arrivare alla formulazione di piani rigidi, bensì per ridurre – attraverso il confronto delle strategie e delle previsioni dei singoli paesi – l’incertezza che attualmente paralizza le politiche di sviluppo delle economie più deboli;
– occorre trovare una soluzione che sia accettabile da tutte le parti in causa per il problema aperto dalle restrizioni unilaterali sui movimenti migratori;
– occorre rafforzare ed estendere la cooperazione internazionale per l’organizzazione dei movimenti internazionali del risparmio, dell’impresa, della tecnologia.
Ma c’è un problema più generale che va posto in modo esplicito. Si deve riconoscere che per i PSR sarebbe fisiologico mantenere in disavanzo le partire correnti per un lungo periodo, purché la connessa importazione di capitali non venga a costar troppo cara in termini di servizio del debito e di senso d’indipendenza. Simmetricamente i PSA [paesi di sviluppo più antico] potrebbero ben avere convenienza a mantenere in avanzo le partite correnti per un lungo periodo futuro.
Finché i dettami della saggezza convenzionale richiederanno che tutti i paesi, per essere giudicati “di buona condotta”, si conformino ad uno stesso cliché, i PSR risulteranno svantaggiati. Bisognerebbe invece arrivare a un generale riconoscimento che ciascun paese deve adottare quella ‘variante’ di sviluppo che realmente gli si addice.
In effetti l’ideologia di un unico cliché di sviluppo, al quale ci si aspetta che tutti i paesi si conformino, prevale solo da qualche decennio (una frazione insignificante della storia dell’umanità) e non c’è ragione di assumere che sia destinata a dominare per sempre (…)
È probabile che le formule di sviluppo che risulteranno più adatte per PSR attribuiranno speciale attenzione alla propria impresa, al movimento cooperativo, all’agricoltura, all’equilibrio territoriale, il che – oltre a minimizzare i danni della disoccupazione e dello spopolamento – apre anche a prospettive favorevoli per preservare e coltivare quei valori non monetari che altri paesi hanno in larga misura dissipato nel corso del loro processo di industrializzazione e che vorrebbero ora recuperare.
Perciò, lungi dall’esservi alcunché di umiliante nel fatto che i PSR non possano percorrere gli stessi sentieri dei PSA, la loro ricerca di nuove vie può essere ben concepita come un’impresa esaltante dalla quale i PSA potranno ricavare in futuro qualche ispirazione utile.”
Giorgio Fuà, Problemi dello sviluppo tardivo in Europa, il Mulino, Bologna 1980, pp. 69-71.