Lo scorso 23 gennaio il Consiglio dellʼUnione Europea ha deciso di imporre dure sanzioni contro lʼIran e i giornali di tutto il mondo hanno dato grande spazio alla notizia. Anche lʼIran ha reagito duramente tornando a minacciare la chiusura dello stretto di Hormuz se i paesi dellʼUE interromperanno gli acquisti di petrolio dal Paese. Ma dopo alcune scintille iniziali tutto si è placato, forse anche perché il testo approvato dallʼUE contiene esenzioni che potrebbero trasformare lʼembargo in un pericoloso boomerang per gli interessi europei.
Circa il 25% del greggio iraniano arriva in Europa, ma le sanzioni decise la scorsa settimana vanno oltre il divieto di importare petrolio. Dal 23 gennaio sono proibiti gli acquisti di prodotti petrolchimici o derivanti dal petrolio, le vendite di tecnologie e macchinari che possono essere utilizzati nei settori petrolchimico, del petrolio e del gas naturale. Queste restrizioni riguardano anche nuovi investimenti e servizi finanziari necessari per assicurare il trasporto di questi prodotti, come linee di credito oppure coperture assicurative di navi ed altri mezzi di trasporto. La decisione del Consiglio riguarda anche la vendita, lʼacquisto, il trasporto o il brokering di oro, materiali preziosi e diamanti da e per il governo iraniano. Stessa sorte è stata riservata alla consegna di nuove banconote o monete coniate per la Repubblica Islamica e sanzioni finanziarie contro la Banca Centrale dellʼIran per il coinvolgimento in attività che mirano a violare lo spirito delle sanzioni.
Insomma, le sanzioni dovrebbero essere molto dure per lʼIran, ma lo saranno anche per alcuni paesi membri. Abbiamo già scritto della dipendenza italiana dallʼIran, ma il vero nodo di questi giorni è la Grecia che, nel mezzo di una crisi economica durissima, rischia di perdere il 35% delle proprie forniture di greggio. Secondo i dati dellʼAgenzia Internazionale per lʼEnergia riportati dal sito euobserver.com, la Grecia dispone di riserve di petrolio per 90 giorni nel caso in cui tutte le forniture venissero interrotte. Pare che la Grecia, per essere convinta a votare a favore delle sanzioni, abbia avuto la garanzia di aiuti dagli altri paesi europei nel caso lʼIran dovesse decidere di bloccare le spedizioni verso lʼEuropa. Tuttavia è evidente come la crisi iraniana rappresenti un ulteriore fattore di instabilità per il paese ellenico, senza considerare il grande giro dʼaffari che lega numerosi stati membri dellʼUnione Europea allʼIran.
È proprio a causa di queste “sensibilitá” che il Consiglio ha deciso di inserire una serie di clausole che danno ossigeno ai vari interessi in gioco. In primo luogo le misure avranno effetto solo dal 1 luglio 2012 per i contratti firmati prima del 23 gennaio 2012, mentre la proibizione per i prodotti petrolchimici scatterà dal 1 maggio. Gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzioni agli agenti che faranno affari con la Banca centrale iraniana (BCI) oltre certe soglie, mentre lʼEuropa ha deciso di vietare i pagamenti dal proprio territorio verso la BCI per le forniture di petrolio, lasciando quindi la possibilitá di continuare a inviare pagamenti per forniture in altri settori. Esistono anche esenzioni per quanto riguarda lʼestensione dei contratti che prevedevano la possibilitá di prolungare la collaborazione nei termini dellʼaccordo. Lʼesenzione si puó esercitare verso le linee di credito concesse per investimenti nel settore petrolchimico e joint ventures operanti fuori dal territorio iraniano.
Queste eccezioni potrebbero aprire delle voragini nellʼembargo prima ancora che entri in vigore. La forma piú evidente di evasione potrebbe essere rappresentata da una falsa descrizione dei pagamenti effettuata dalla Banca centrale iraniana verso aziende “compiacenti” collocate in altri paesi. Non è un segreto che i governi turco e indiano stanno valutando forme alternative di pagamento che aggirino le sanzioni di Washington e, di conseguenza, anche quelle europee. Infatti le sanzioni di Bruxelles non penalizzano, a differenza delle misure USA, compratori di petrolio situati fuori dallʼUnione Europea. Ad esempio, unʼazienda cinese o indiana non avrebbe nessuna conseguenza nei confronti dellʼEuropa se decidesse di comprare il petrolio dallʼIran, mentre avrebbe un accesso limitato al mercato degli Stati Uniti. Nel mondo globalizzato e interconnesso, la possibilità per una grande compagnia europea di utilizzare controllate off-shore per continuare a fare business as usual con lʼIran è concreto, soprattutto in assenza di un attento controllo degli stati membri.
Le misure decise dal Consiglio arrivano dopo altri provvedimenti che avevano limitato molto la possibilità per le aziende europee di operare nel Paese guidato dagli Ayatollah. Con i rapporti commerciali al minimo, la possibilità di riorganizzare le spedizioni e i pagamenti di petrolio potrebbe ridurre drasticamente lʼimpatto dellʼembargo con conseguenze molto negative per lʼUnione Europa. Da un lato, la credibilità di misure simili in futuro sarebbe nulla. Se lʼembargo non avesse un impatto tangibile sulla capacità del governo di Teheran di proseguire il programma di riarmo, il “re di Bruxelles” sarebbe nudo e lʼarma dellʼembargo sarebbe spuntata per crisi in futuro. Secondo, le scappatoie fornite alle aziende europee potrebbero favorire un grande oil swap tra Europa e Cina a tutto svantaggio per Bruxelles. Le compagnie petrolifere europee potrebbero infatti rivolgere verso Pechino le loro attenzioni e collaborare con il gigante cinese per favorire le esportazioni verso quel Paese anziché quelli europei. LʼUE perderebbe sia la faccia, sia il petrolio iraniano che andrebbe, probabilmente a basso costo, verso la Cina. Non un grande successo per unʼorganizzazione che mira ad acquistare un peso rilevante sullo scenario internazionale.
*Senior Lecturer presso il Dipartimento di Relazioni internazionali e Studi europei della Metropolitan University di Praga e autore di «Coercing, Constraining and Signalling» (Ecpr press), saggio sulle sanzioni internazionali