MONACO – L’Italia è laggiù, a pochi chilometri di distanza. «Non me ne vogliate, ma si vive molto meglio qui», dice un arzillo settantacinquenne americano. Steven è qui in pensione, dopo una vita passata a fare il mercante d’arte. E dopo aver vissuto per un anno a Sanremo, ora ha un appartamento a Larvotto, la spiaggia di Monaco. «Il paragone fra Italia e Francia, fra Riviera dei Fiori e Côte d’Azur, non si può proprio fare: è come se fossero due mondi differenti», ci dice. E non è solo una questione di Monte-Carlo e del suo sfarzo. Si tratta di una regione, quella delle Provence-Alpes-Côte d’Azur, che sembra l’esatto opposto della Liguria. Una volta passata la lunghissima galleria che collega Ventimiglia a Mentone, ti accorgi che subito c’è qualcosa di strano. È la luce delle cittadine della Côte d’Azur, che va in contrasto con il tipico buio dell’autostrada che sovrasta Mentone. Eppure, è anche un altro l’aspetto che colpisce, la cura generale. Strade, abitazioni, segnaletica stradale sono il primo esempio di un mondo completamente diverso. Ma è scendendo verso Monaco che la musica cambia. Il Principato è sempre uno dei luoghi più ambiti al mondo e non è solo per via dello status di paradiso fiscale. La qualità della vita si percepisce dai servizi che è possibile avere una volta ottenuta la cittadinanza monegasca.
Le corniche, cioè le strade, sono tre: bassa, media e alta. Sono percorsi automobilistici fra i più belli e curati del mondo che tagliano in due la Costa Azzurra e la Provenza, mentre c’è il mare laggiù che ti invoglia a tornare verso di lui. Qui i ristoranti sono pieni davvero. Trovare un posto per pranzo in una cittadina come Villefranche-sur-mer può diventare un problema anche in questi giorni. «Siamo abbastanza fortunati, non stiamo risentendo molto della crisi, sebbene questa ci sia», ci dice Monique, proprietaria di un ristorante affacciato sulla baia di Villefranche, un gioiello incastonato nella Costa Azzurra. «Tanti sono i turisti italiani che vengono, anche in questi giorni che c’è il Festival di Sanremo», continua. «Ieri sera abbiamo avuto un gruppo che suonava, abbiamo tirato fino a tardi, ma lo facciamo spesso, del resto, o si lavora finché si può, oppure si chiude», conclude Monique.
E andando oltre, verso Cannes, la musica non cambia. «C’è un falso mito che dice che noi non apprezzeremmo gli italiani – dice a Linkiesta Clara, che ha un ristorante che affaccia sul porto turistico – Ovviamente non è vero, anzi». Le domande più comuni, una volta finito di pranzare o cenare, sono quelle sui prezzi delle abitazioni. «Vengono tanti italiani che adesso hanno casa nella Riviera dei Fiori ma vogliono venire qui», spiega Clara. Il mattone resiste ancora e non ci sono particolari oscillazioni al ribasso dei prezzi, anche se tutti le attendono. È durante la notte che si vede la vera differenza fra Riviera dei Fiori e Costa Azzurra. In Italia i locali cambiano con incredibile velocità e sono pochi i luoghi di culto che resistono per almeno due generazioni. In Francia non c’è paragone. Fra Monaco e Saint-Tropez, passando per Antibes, Cannes e Juan-les-Pins in ogni stagione, che sia quella invernale o quella estiva, poco cambia. Parliamo con uno dei gestori del Jimmy’z, lo storico club di Monte-Carlo che ha ospitato quasi tutti i bagordi discotecari della famiglia Grimaldi. «Sono vent’anni che non c’è paragone fra Riviera dei Fiori e Côte d’Azur, per un motivo molto semplice: noi abbiamo saputo lavorare sulla nostra immagine prima di tutto il resto». Ha ragione. L’immagine, in un mondo tanto effimero quanto remunerativo come quello dei locali notturni, è tutto. «Monte-Carlo, o meglio Monaco, è un piccola lingua di terra arroccata, scomoda per quasi tutti, noi monegaschi compresi», ci dice. Eppure, «abbiamo saputo chiamare qui tutte le persone che contavano e l’allure di lusso ed esclusività è rimasto». In Italia no. «Da voi ho l’impressione che si sia è preferito far prevalere gli interessi particolari di pochi invece che quelli di tutti, come si è fatto qui», afferma. È facile capire il motivo. Ventimiglia e Mentone rappresentano l’esempio più lampante di quello che ci viene detto. Entrambe città di confine, entrambe località con un passato non sempre facile. Se l’italiana è rimasta bloccata in un limbo fatto di criminalità, malgoverno e progressi mancati, la francese è rinata con il turismo, le strutture ricettive, i locali e il Casinò. Tutto quello che doveva fare Ventimiglia negli ultimi 20 anni, cioè innovarsi, lo ha fatto Mentone. E la differenza è schiacciante.
Qualcuno dirà che però la Francia ha anche dei diversi trasferimenti Stato-Regioni. È vero, ma il punto di base non cambia. Le persone se ne accorgono andando verso Nizza, una città non facile, fatta di un incrocio di gente e culture. L’Hotel Negresco sembra ancora oggi evocare storie di intrighi internazionali a cavallo fra Africa ed Europa. Place Massena e i baretti con il coquillage freschissimo in vetrina sono sempre gli stessi degli anni Cinquanta, ma c’è l’impressione generale è che la cura francese contro le angherie del tempo sia molto più efficace di quella italiana. Stefano, albergatore nel centro di Ventimiglia, non ha dubbi: «È tutta colpa degli amministratori locali, oltreconfine possono anche rubare, ma almeno riescono a fare qualcosa per la collettività, da noi rubano e basta». I francesi sono scaltri e stranamente ospitali in questo momento storico. Facile capirne i motivi. «Voi avete i controlli sempre più stretti della Guardia di Finanza, noi no», spiega Jean-Claude, barista al porto turistico di Antibes. «Sono anni che qui arrivano i natanti italiani, ma se devo essere sincero sono aumentate le auto con le vostre targhe negli ultimi tre mesi», continua.
Gli italiani vanno in avanscoperta, chiedono, si informano, prendono appuntamenti per i trasferimenti delle barche. Chi non l’ha fatto negli anni passati si è deciso ora, con l’ultimo giro di vite contro l’evasione. Eppure, anche in Francia il fenomeno esiste. «Molte barche sono intestate a una Società anonima, facile da creare e da gestire», ci spiega Pierre, broker nautico ad Antibes. «Certo, i controlli ci sono anche qui e sono stringenti, ma se si vuole evadere il fisco lo si fa senza particolari problemi. Di sicuro, la situazione in Italia sembra diventata insostenibile», afferma. L’opinione di Alex, broker nautico a Monte-Carlo, non è diversa: «Tralasciando i casi di evasione totale sugli yacht oltre i 50 metri, abbastanza comune, il discorso è diverso per i piccoli natanti, quelli cioè degli appassionati». La passione è quella che spinge un individuo a comprarsi un’imbarcazione, soprattutto se si parla di quella a vela. «La fuga verso la Francia, sia per via di porti meglio attrezzati e meno costosi sia per una serie di agevolazioni fiscali interessanti, sta andando avanti da decenni», spiega Alex. E così, come spiegavamo ieri nel reportage da Sanremo, sono sempre più gli armatori che vogliono lasciare l’Italia. Proprio ora che, dopo decenni di attesa, sta iniziando a esserci un’adeguata dotazione di posti barca sulle nostre coste, i diportisti se ne vogliono andare. Il paragone fra Riviera dei Fiori e Costa Azzurra sembra quindi improponibile. È vero. Le colpe vanno ricercate nelle scelte compiute negli ultimi trent’anni dalle singole amministrazioni locali, italiane e transalpine. La configurazione morfologica delle due regioni è molto diversa, ma poco conta. «Noi avremo anche le spiagge, ma voi avete storia, cucina e avevate un lusso che era senza freni per noi», ci dice il broker Pierre. Poi, quasi incredibilmente, tutto perduto. E il pensiero va a Steven, che mentre si sorseggia un cappuccino, guarda verso il lusso artificiale di Monaco e ci dice: «Vedi, qui ci sono i grattacieli, ma a destra e sinistra c’è la spiaggia e dietro ai colossi di cemento e acciaio c’è la montagna. Come in Liguria, no?». Già, come in Liguria. Solo che questa è la Côte d’Azur.
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