Mani Pulite ha vent’anni e i partiti non hanno imparato nulla

Mani Pulite ha vent’anni e i partiti non hanno imparato nulla

L’anniversario di Mani Pulite, tragicamente coincidente con la denuncia della Corte dei Conti sull’espandersi della corruzione in Italia, ha consentito a molti protagonisti di quella stagione di rinverdire i propri ricordi ma non ha aggiunto nulla di nuovo a quel che già si sapeva.

Le uniche voci fuori del coro sono state quelle di due personaggi che si detestano, l’ingegner Carlo De Benedetti e il senatore Rino Formica. Il primo ha sostenuto che c’è stata benevolenza verso l’ex Pci da parte del pool, il secondo è tornato a proporre la sua vecchia idea che i magistrati di Milano siano stati favoriti nella loro azione dalla “manona” americana, in particolare dell’Fbi. In verità le due tesi non sembrano suffragate da alcuna prova e in molti casi sono state smentite dai fatti. Di Pietro ha raccontato che il pool mise sotto pressione gli ex comunisti milanesi, in particolare esponenti della corrente migliorista. Sul ruolo degli americani e di Cossiga siamo invece ancora alle suggestioni.

Le uniche due cosa che appaiono oggi chiare sono l’inevitabilità di quell’inchiesta che rovesciò la politica italiana e la sua inutilità. Mani Pulite era inevitabile perché al di là di tutte le fantasiose ricostruzioni successive era ormai diventato urgente il controllo di legalità. Semmai c’è da chiedersi perché abbia tardato tanto. La politica italiana era afflitta da una corruzione terribile e irredimibile. Lo stesso crollo dei partiti storici indica come il cemento che li teneva assieme fosse diventato talmente fragile da non suscitare moti di patriottismo di partito negli elettori e negli iscritti a difesa della loro organizzazione e dei loro dirigenti.

Di Mani Pulite ciò che c’è tuttora da criticare è l’esagerato ricorso agli arresti preventivi a scopo di confessione e una durezza verso gli imputati che nessun paese civile tollererebbe ma che nel clima di quegli anni tutti, o quasi, tollerarono. Detto questo i magistrati fecero, in ritardo, quello che dovevano fare. Il fatto che successivamente alla loro azione sia nato un vero e proprio movimento politico, in parte incardinato nella figura di Di Pietro, non può essere una loro colpa semmai è una colpa della politica che non mostrò mai la voglia di cambiare pagina. Il secondo dato che emerge da queste celebrazioni è l’inutilità di Mani Pulite. In un senso molto preciso.

Da allora a oggi non solo la politica è probabilmente peggiorata ma anche la corruzione ha fatto ulteriori passi in avanti. Tutto questo non va ascritto a colpa dei magistrati milanesi. Né un’inchiesta si fa, o no, a seconda se degli effetti politici benefici o negativi che produce. Quel che conta è che l’intero mondo della politica sembra non aver capito il messaggio che c’era in quell’appoggio incondizionato della pubblica opinione al lavoro dei magistrati.

C’era una domanda di legalità e c’era anche la definitiva rottura di vecchie appartenenze. Oggi con questo dato dobbiamo fare i conti. Un’opinione pubblica disincantata dalla politica e spesso irritata con essa sa che dopo Mani Pulite ce ne vorrebbe un’altra che possa fare pulizia nei palazzi del potere. Anche questa volta i protagonisti politici sembrano al di sotto della domanda popolare e non si accorgono che l’allargamento del discredito può diventare alla fine anche la base per movimenti antidemocratici. Il caso Lusi e il caso delle tessere fasulle nel PdL indicano come troppi stiano sottovalutando il grado di separazione dei partiti dalla vita della gente comune. Se non so se ci vorrebbe una nuova Mani Pulite, so che c’è bisogno come non mai di una Politica Pulita.  

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