Militari a bordo e 6 miliardi spesi, ma i pirati sono sempre più forti

Militari a bordo e 6 miliardi spesi, ma i pirati sono sempre più forti

Il quadro diplomatico e giudiziario della vicenda dei due fucilieri della Marina imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie va complicandosi sempre più. I due militari sono stati arrestati in India dopo un conflitto a fuoco (con un barchino di pirati secondo la ricostruzione italiana, con un innocuo peschereccio secondo quella indiana) dove hanno perso la vita due cittadini indiani, vale la pena analizzare il fenomeno della pirateria nelle acque fra Somalia e India, che, oltre ai costi umani, presenta un salato conto economico.

Al riguardo è estremamente utile il paper The Economic Cost of Somali Piracy 2011, presentato meno di due settimane fa nell’ambito del progetto Oceans Beyond Piracy, sponsorizzato dalla fondazione statunitense One Earth Future. Il risultato dello studio è impressionante. Nel 2011 la pirateria nell’Oceano Indiano è costata alla comunità internazionale fra i 6,6 e i 6,9 miliardi di dollari di costi diretti, a cui si aggiungono quelli umani: lo scorso anno sono stati 1.118 i marittimi presi in ostaggio e costretti a vivere per mesi in condizioni di privazione, 24 di loro sono stati uccisi e diverse centinaia sono ancora nelle mani dei pirati.

Il report segnala che l’80,5% delle spese è stato a carico dell’industria marittima e il resto a carico dei Governi e individua nove fattori di costo della pirateria. Il più rilevante sembrerebbe essere l’incremento di costi derivante dai maggiori consumi delle navi che viaggiano in zone rischiose. Lo studio rivela infatti come nessuna nave che viaggiasse a 18 o più nodi sia stata ad oggi abbordata con successo, il che spiega perché chi viaggia in acque pericolose tenda, se possibile, ad aumentare la velocità e, quindi, i consumi. Solo per le porta-container i costi aggiuntivi sarebbero stati nel 2011 di 2,7 miliardi di dollari.

Poi ci sono le spese militari, con i mezzi e gli uomini forniti da oltre 30 nazioni alle missioni di Eunavfor (European Union Naval Force) e Nato: 1,27 miliardi di dollari. Da questi costi sono esclusi quelli per la sicurezza privata (fra 1,06 e 1,16 miliardi): l’analisi calcola che il 25% dei mercantili in transito nelle zone considerate abbia imbarcato l’anno scorso guardie private, costate agli armatori 530 milioni, cui vanno sommate le spese per attrezzature di difesa delle navi, fra il 534 e i 629 milioni.

Da evidenziarsi peraltro come, per quel che riguarda l’Italia, il Decreto-Legge del 12 luglio 2011, n. 107, convertito in Legge il 2 agosto successivo, abbia consentito agli armatori italiani l’imbarco di personale della Marina Militare (il cui costo è a carico dell’associazione di categoria Confitarma) o di contractor privati: ad oggi però solo la prima ipotesi è percorribile, in virtù di un accordo firmato fra Ministero della Difesa e Confitarma, mentre, come segnale l’associazione degli armatori, per il personale privato armato sono ancora in fase di studio gli interventi normativi necessari (per i quali è responsabile il Ministero degli Interni).

Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, i due Marò arrestati in India, attualmente detenuti vicino Kochi nello stato indiano del Kerala (Afp)

Tornando al paper, chi ha scelto di utilizzare rotte differenti da quelle ottimali per ridurre i rischi (soprattutto petroliere e rinfusiere, che, viaggiando più lentamente, sono più soggette ad attacchi) ha speso complessivamente una cifra compresa fra i 486 e i 680 milioni di dollari, mentre i costi assicurativi (calcolati considerando le polizze ad hoc “war risk” e “kidnap and ransom”) sono ammontati a 635 milioni di dollari.

Alcune associazioni di marittimi sono poi riuscite ad ottenere degli indennizzi sulle retribuzioni in caso di impiego in zone pericolose. Compensazioni che, tenuto conto anche di quanto riconosciuto ai marittimi presi in ostaggio, sono costate 195 milioni di dollari. Più dell’ammontare dei riscatti pagati lo scorso anno, 160 milioni di dollari (il 2% del totale). Significativo anche il fatto che nel 2011 sia diminuito il tasso di successo degli attacchi dei pirati; a fronte di ciò è però aumentato il riscatto medio ottenuto (5 milioni) e la durata dei sequestri. A completare il quadro, infine, i 21,3 milioni spesi in iniziative civili di contrasto alla pirateria (soprattutto organizzazioni di supporto di vario genere ai paesi coinvolti dal fenomeno, come Somalia e Kenya) e i 16,4 milioni di spese di arresto, detenzione e processi a carico di pirati o presunti tali.

Altro aspetto interessante evidenziato dallo studio di Oceans Beyond Piracy è che solo queste due ultime voci, pari allo 0,53% delle spese totali, possono considerarsi un investimento a lungo termine nella battaglia contro la pirateria, mentre gli altri costi sono definiti “spese correnti”, atte a contrastare nell’immediato la pirateria, ma anche a divenire strutturali qualora si continui a non intervenire sulle cause prime della pirateria, vale a dire la situazione socio-politica ed economica dei paesi da cui muovono i pirati.

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