Va’ pensieroNella nuova Ungheria i saluti romani degli ultras laziali

Nella nuova Ungheria i saluti romani degli ultras laziali

BUDAPEST. “Forza Lazio!”. Come? “Forza Lazio!”. I ragazzi che fino a qualche minuto prima hanno fischiato l’Inno alla Gioia di Beethoven, si sono esibiti nel saluto fascista e hanno contestato una manifestazione davanti al Parlamento di Budapest mi guardano e ridono. Hanno capito che sono italiano e ripetono l’urlo da stadio che suona davvero strano nella gelida serata di Budapest.

Uno di loro si avvicina e attiva la suoneria del telefonino. Parte la canzone, in italiano, “Avanti ragazzi di Budapest”. È dedicata ai giovani protagonisti della rivolta ungherese del 1956 e, mi spiegano, spesso viene intonata dagli ultras della Lazio. Da qui il “gemellaggio” con i tifosi biancoazzurri. Questi ragazzi poco più che ventenni appartengono al Movimento delle 64 contee. Spiegano: “Siamo contro il Trattato di Trianon del 1920 che ha disegnato in modo ingiusto le frontiere dell’Ungheria. Vogliamo riunire tutti gli ungheresi sparsi nei paesi vicini, vogliamo il ritorno a una grande Ungheria, guidata da una monarchia. Siamo contro i comunisti, i bolscevichi e i liberali”.

Nell’Ungheria di oggi capita di sentire anche queste voci estreme. Il governo populista, nazionalista e conservatore guidato da Viktor Orban ha creato il contesto nel quale i gruppi come il Movimento delle 64 contee o il partito di estrema destra Jobbik trovano spazio e consenso. Lenhardt Balasz, 37 anni, parlamentare di Jobbik, esibisce una giacca tradizionale tipo quelle che indossava l’austriaco Heider (“Questa viene dalla Transilvania”, dice Balasz) è cortese e parla un buon inglese. Ma Balasz rilancia le accuse contro l’Europa (“ignora i popoli”), i comunisti, i rom (“creano problemi anche nelle vostre città in Italia, perciò chiediamo più poteri per la polizia e il rispetto della legge”).

I democratici ungheresi sono preoccupati. Nelle loro manifestazioni si presentano con le bandiere dell’Europa, si appuntano sul petto coccarde con il simbolo della svastica sbarrato, gridano “nazisti a casa” agli estremisti di destra.

Tira proprio una brutta aria nell’Ungheria di oggi. Anche l’Europa è preoccupata. La Commissione europea ha avviato tre procedure di infrazione nei confronti di tre leggi costituzionali che riguardano l’indipendenza della Banca centrale, l’età della pensione dei magistrati e l’autorità sulla privacy. Il 22 febbraio la Commissione europea ha inoltre deciso di sospendere 495 milioni di euro di fondi di coesione per il 2012. La sospensione è stata motivata con il deficit eccessivo, superiore alla soglia limite del 3 per cento. “Non è una punizione, ma uno stimolo a rimettere in ordine i conti in casa”, ha detto Johannes Hahn, commissario europeo alla politica regionale.

Da quando ha vinto le elezioni dell’aprile del 2010, il premier Victor Orban, leader di Fidesz, forte di una maggioranza dei sue terzi del parlamento, è andato avanti come un rullo compressore. La nuova Costituzione è preceduta da un preambolo religioso ed è scomparsa la dizione “Repubblica di Ungheria”. Ora si parla solo di “Ungheria”, per la gioia delle destre. La legge sui media ha creato allarme a Bruxelles, anche per la creazione di un Consiglio dei media, formato da uomini vicini al Governo, incaricato di vigilare sugli organi di informazione. “In Ungheria la democrazia è a rischio. Le leggi del governo hanno intaccato i valori democratici di base e stravolto un sistema di check and balances che garantiva l’equilibrio fra i vari poteri dello Stato. Come attivista per i diritti umani sono sorpresa di dovermi occupare ancora di questi temi nel mio paese”, spiega Marta Pardavi, 37 anni, avvocato, copresidente della Ong Helsinki ’75.

Anche chi apprezza lo spirito delle riforme, manifesta qualche perplessità. È il caso di Gyorgy Domokos, direttore del Dipartimento di italianistica dell’Università cattolica Péter Pazmany. “Il governo”, spiega Domokos, “sta procedendo nella direzione giusta dopo anni di paralisi politica. È giusto fare le riforme e richiamarsi ai valori, ma forse il governo si sta muovendo con troppa fretta e troppa arroganza. Ci volevano maniere più eleganti per coinvolgere chi la pensa diversamente”.

“Troppa fretta nelle riforme? Non credo” ribatte Zoltan Kovacs, sottosegretario alla comunicazione, in pratica il portavoce del governo Orban. Nel suo ufficio affacciato sul Danubio, Kovacs, 43 anni, difende su tutta la linea le decisioni del governo. “Nel 2010”, spiega Kovacs, “l’Ungheria non aveva tempo da perdere. Bisognava rimediare ai guasti non solo del regime comunista, ma anche a quelli degli ultimi governi, che avevano portato il Paese al limite del collasso. La popolazione ungherese, premiandoci con una maggioranza schiacciante, ci ha detto che ne aveva abbastanza del passato. C’era la richiesta di cambiamenti fondamentali e nell’ultimo anno e mezzo il governo ha fatto quello che aveva promesso durante la campagna elettorale. Stiamo cambiando in meglio il paese”.

Kovacs non sembra preoccupato neppure dai rapporti fra Budapest e Bruxelles. “Lo scorso anno”, spiega, abbiamo guidato le istituzioni europee con competenza. Le procedure di infrazione non ci spaventano perché l’Europa le attua nei confronti di molti paesi e noi non siamo fra i peggiori. Con Bruxelles non c’è uno scontro sui valori europei, che condividiamo in pieno”.

Ma per molti ungheresi l’Europa appare invece sempre più lontana. “Le istituzioni europee sono intervenute un po’ tardi, non hanno compreso subito la crisi politica, economica e sociale di questo paese. Ormai l’Ungheria non è più uno stato di diritto e io, che mi sento una patriota, mi indigno quando mi accusano di essere una traditrice perché dico questo cose”, lamenta Julia Vasarhelyi, giornalista free lance.

Oggi i giornalisti ungheresi si sentono meno liberi. “I giornalisti che lavorano per il servizio pubblico hanno paura di esprimersi liberamente e le reti pubbliche ignorano le voci del dissenso”, nota Marta Pardavi.

Klubradio, una radio indipendente specializzata in talk show, è il simbolo della resistenza dei giornalisti ungheresi contro il governo. Alla radio non è stato concesso il rinnovo della licenza per la frequenza con la quale trasmetteva su Budapest. “Tirare avanti per noi sarà sempre più difficile, anche a causa del drastico calo della pubblicità. Ci siamo rivolti agli ascoltatori per un sostegno, ma è difficile pensare a un futuro sereno”, dice Andras Arato, fondatore e direttore di Klubradio. Arato, che è appassionato di fotografia, mostra il biglietto di auguri che ha realizzato lo scorso Natale. È un fotomontaggio. Sullo sfondo si vede il grande palazzo neogotico del Parlamento, in riva al Danubio. In primo piano c’è la Statua della Libertà che inclinata, sembra affondare nell’acqua, come il relitto della Concordia. 

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